mercoledì 15 gennaio 2014

Respiro di libertà.


Sono ferma, dice lei al telefono quasi con calma, mostrando addirittura un pieno controllo della situazione. Anzi, adesso sono seduta, ti ascolto Federico, non sto facendo proprio nient’altro, le mie mani sono ferme, non devi preoccuparti. Solo vorrei che non continuassi a ripetere le medesime cose, sono quelle che mi fanno montare di nervi, mi fanno perdere la lucidità, ma io sto bene adesso, non devi assolutamente inquietarti così, non succederà niente di brutto stavolta, stai pure tranquillo. Di fatto lei prosegue a starsene in piedi e a muoversi avanti e indietro dentro la stanza, ma ha imparato da tempo a far credere agli altri ed anche a Federico di essere comunque in quei casi nel pieno controllo di sé, se non altro fino a quando le è possibile, o almeno durante il tempo in cui parla al telefono.
Lui non si decide a terminare quella chiamata, se potesse o fosse più vicino a casa correrebbe senz’altro fin lì per sincerarsi di persona su che cosa stia effettivamente accadendo, ma in questo momento non gli è proprio possibile, anche se è riuscito fino adesso a farla conversare instillando nelle parole quella relativa tranquillità che gli fa sembrare di tenere in qualche modo in pugno la situazione. Ma lei d’improvviso dice che deve fare qualcosa, senza neppure spiegarsi meglio, poi appoggia il ricevitore da qualche parte e subito si mette ad urlare cose insensate dentro la stanza oppure nel corridoio lì accanto. Federico ascolta sconcertato quei versi che gli appaiono assurdi ed estremamente lontani, come fossero emessi da una persona che lui non conosce, così continua a chiamarla dentro al microfono, cerca in tutti i modi di farle riprendere in mano quell’apparecchio, ma trascorrono porzioni di tempo terribili, pieni di una tensione spasmodica, e niente di buono sembra accadere.
Federico si sente stremato da quella situazione, sa che non può fare quasi niente, ma d’improvviso lei dice qualcosa vicino al telefono pur senza riportarlo all’orecchio, e così lui si accorge che sta già piangendo; la crisi è iniziata, pensa cercando di interpretare quei comportamenti, ed è forse già nel suo pieno. Così, con tutta la calma che riesce a mettere nella sua voce peraltro piuttosto alta di tono per essere sicuro di farsi sentire, le dice per favore di prendere una delle pastiglie dentro al cassetto, ma lei urla dapprima che le ha già ingoiate tutte, poi cambia versione e dice che adesso gli darà retta, farà proprio come lui dice. Trascorrono ancora alcuni secondi, si sentono dei colpi più e meno forti dentro la stanza, infine lei torna, prende il telefono, dice che adesso non ha più tempo per lui, che deve uscire, ha bisogno di aria, non può permettersi di fare conversazione per tutto il giorno.
Federico cerca di convincerla a restare in casa, poi le spiega che adesso deve riattaccare, ma che la richiamerà fra dieci minuti, e lei dovrà rispondere alla telefonata, e non dovrà fare nient’altro in quel lasso di tempo. Lui abbassa il telefono con il cuore stretto dentro una morsa, e immediatamente chiama il servizio sanitario, spiega in due parole che è un’emergenza, devono correre subito, farsi aprire da lei o spaccare la porta se necessario, non si può fare altrimenti. Capiscono subito il caso, dicono che stanno precipitandosi, lui torna a comporre il numero di lei ma già non risponde nessuno. Federico, disperato, prova e riprova, ma il numero suona libero e basta.
Suonano il campanello di casa ma non risponde nessuno, lei è uscita, è fuggita ormai chissà dove. Quando la ritrovano sono trascorsi due giorni, è successo di tutto, qualsiasi possibilità è stata vagliata: lei invece sorride dalla terrazza in cima al palazzo dove nessuno ha pensato di andare a cercarla. Sto bene, dice, avevo soltanto bisogno di aria.
Bruno Magnolfi

martedì 14 gennaio 2014

Vicino al mare


Il punto di osservazione, dall’alto della sua abitazione, è senz’altro invidiabile: da lì si vedono tantissime cose, ma soprattutto si tiene sott’occhio quasi interamente la strada centrale del centro abitato che, scorrendo proprio di fronte, degrada lentamente da lì fino al mare, costituendo generalmente la passeggiata quotidiana per quasi tutti i suoi compaesani. Lui, sul suo terrazzino di casa all’ultimo piano di quel caseggiato, osserva passare tutti quanti quasi ogni sera, certe volte sfoggiando addirittura un pesante binocolo nero a tracolla con il quale finge di interessarsi dei profili delle due isole che si stagliano lontano sul mare, sopra i tetti davanti, all’orizzonte, e che nei giorni di tramontana regalano effettivamente una vista meravigliosa con le loro verdi vallate di macchia mediterranea e di affascinanti  insenature di coste frastagliate, battute regolarmente, nei giorni di burrasca e di tempo avverso, dai venti e dai marosi.

Forse non c’è niente di realmente interessante da vedere, pensa lui mentre qualche volta sta lì, lasciando freddare il caffè dentro al suo solito bicchierino di vetro, sopra al tavolinetto che tiene accanto alla sedia. Eppure c’è un richiamo fortissimo in quella visuale pur sempre identica, come l’attendersi improvviso di una variazione sostanziale, per esempio, o l’accadere inaspettato di qualcosa lungo la strada, qualcosa però che non sa neanche lui. Osserva, riguarda la camminata lenta e particolare di qualche ragazza, riconosce poco per volta tutte le persone che scendono fino alla piazzetta sul mare per un sospiro di salsedine e che poi tornano su, verso di lui.
Le isole sul fondale di questo teatrino restano sempre identiche, a parte le giornate più o meno chiare, e spesso risultano come sorvolate da grandi nuvole vaporose, evidenti e arrossate la sera, su quel bellissimo tratto di mare al tramonto, scuro e increspato. Lui appoggia il binocolo agli occhi nella convinzione di assistere ad un avvistamento precedentemente sfuggito, qualcosa che forse valga la pena, una variazione importante di tutta l’immagine. Ma tutto invece si mostra identico, tanto che ultimamente non sa più come giustificare neppure con se stesso quella sua bramosia di uscire su quel terrazzino.
Ma stasera una donna si ferma lungo la strada, sembra quasi guardarlo, ma non si può essere del tutto sicuri. Infine lei alza una mano, con il suo binocolo lui adesso la vede benissimo, ne inquadra tutta la persona, e gli fa un gesto di saluto, sorride perfino, come se lui dovesse addirittura risponderle. Lui abbassa il binocolo, poi lo riposiziona sugli occhi: lei è sempre lì, come prima, la stessa espressione sul viso, la stessa maniera inedita di fargli capire che ha scoperto il suo vizio, sa cosa lui stia facendo. Conosce quella donna, è evidente, l’ha già vista altre volte camminare lungo la strada, ma non sa proprio chi sia realmente, e soprattutto perché abbia deciso così all’improvviso di salutarlo.
Rientra dalla terrazza fin nel suo appartamento, sente quasi il suo viso andargli in fiamme, beve un po’ d’acqua, non riesce a tornare al suo punto di osservazione, ma non può neppure starsene in casa senza fare niente. Decide di uscire, indossa la giacca, si precipita lungo le scale, raggiunge velocemente il portone, infine la strada, percorre un breve tratto di marciapiede, ma di quella donna non c’è già più niente, si è dissolta, forse un miraggio uguale al salmastro nelle serate di mareggiata. Affonda le mani dentro le tasche e infine si volta: lei è lì, con quel sorriso quasi stampato sopra la faccia. Volevo solo vedere se riuscivi ad uscire, gli dice; lui non sa cosa rispondere, fermo come si trova. Poi la prende delicatamente a braccetto e percorrono insieme la strada, fino sul mare.
Bruno Magnolfi

sabato 11 gennaio 2014

Eroe contemporaneo (ritratto n. 12).



            Certe volte lui sembrava mostrare una leggera indifferenza verso gli altri, ma era solo una posa; in ogni caso si lasciava salutare, così come lui stesso salutava tutti coloro che conosceva almeno di vista, sia incontrandoli per strada che trovandoli al caffè dove spesso si recava per trascorrere mezz’ora dopo il termine del suo orario di lavoro. In qualche caso poi, gli poteva capitare di intrattenersi a parlare con coloro che conosceva meglio, spiegando il proprio punto di vista sugli argomenti di attualità riportati generalmente dai notiziari delle emittente televisive nazionali, o anche dal giornale quotidiano che trovava direttamente lì, sopra quei tavoli.
            Alcune volte si sentiva perfettamente a proprio agio nel padroneggiare certe notizie che magari aveva approfondito, mentre in altre occasioni si limitava ad annuire ciò che gli altri dicevano a gran voce. C’era bisogno di condivisione, si diceva in quei periodi, e lui si trovava spesso d’accordo su tutto ciò che normalmente veniva affermato dalle persone che conosceva meglio. Era comunque facile dare ragione a qualcuno che evidenziava con calore ed interesse le proprie ragioni, e lui su questo si mostrava sempre generoso. Ma infine non si tratteneva mai in quel locale troppo a lungo: era sua abitudine non attardarsi a quell’ora, più per tradizione però, che per altri motivi.
            Rincasava in ogni caso senza troppa fretta, allentando perfino il passo una volta giunto in vista della sua modesta abitazione. In fondo non c’era niente di male, pensava spesso, nel cercare di portare avanti una sua vita sociale, avere relazioni coi conoscenti, soffermarsi, come a lui piaceva fare, nelle circostanze o anche direttamente davanti al portone del condominio dove abitava, a parlare con qualche vicino degli ultimi pettegolezzi del quartiere, o di qualche altro argomento divertente. In seguito comunque, provava sempre un profondo piacere nel rinchiudersi da solo nel suo piccolo appartamento, e ritrovare là dentro le cose a lui più familiari, per trascorrere delle serate calme e totalmente prive di preoccupazioni.
            Altre volte, al mattino dei giorni festivi, era solito farsi una passeggiata fino ad arrivare nella piazza principale della sua piccola città, acquistare all’edicola lungo la strada un quotidiano, e mettersi seduto su una panchina al sole, proprio per scorrere sopra il giornale le notizie più importanti. Si sentiva addirittura generoso in quel suo starsene beatamente rilassato in un luogo di tutti, mostrando il suo miglior vestito e la sua faccia ben sbarbata. Qualche volta poi si lasciava anche  convincere, da un amico, un conoscente, un collega di lavoro incontrato in quella zona, ad andare a pranzo in qualche trattoria poco distante. Da solo, è evidente, non lo avrebbe mai fatto, ma in compagnia di qualcuno riusciva a sentirsi perfettamente a proprio agio.
            Perché alla fine gli piaceva intrattenersi al tavolo, una volta seduto nel locale pubblico, quasi come fosse un abitudinario di qualche posto alla moda, studiando con garbo e attenzione tutto il menu del ristorante, oppure sbirciando i clienti presenti anche se senza insistenza, cercando semplicemente con curiosità di notare gesti buffi o goffi di qualcuno, oppure rilevando divertito somiglianze di alcuni con altri di sua conoscenza. Terminato il pasto gli pareva sempre presto per andarsene, ed anche se nella sala da pranzo non c’era quasi più nessuno, lui trovava spesso la maniera per trastullarsi con qualcosa: un discorso da concludere, un ultimo goccio di quel vino da terminare, un secondo caffè da farsi servire dal cameriere. Non si faceva mai vedere nervoso o addirittura arrabbiato: era il suo modo naturale di mandare avanti le cose; d’altra parte non avrebbe certo potuto cambiare da un momento all’altro il suo carattere.


            Bruno Magnolfi