domenica 16 febbraio 2014

Pallido giallo.


Lui sembra nascondersi dietro una delle grosse colonne del porticato. Una telecamera di sorveglianza lo riprende, qualcuno più tardi con tranquillità sicuramente potrà interpretare a meraviglia i suoi movimenti. La piazza non è molto affollata, e soprattutto le poche persone che si ritrovano da quelle parti stazionano in quei minuti davanti al caffè che si apre sul lato opposto. Lui è nervoso, guardingo, non sembra avere in effetti un appuntamento preciso, ma ugualmente sembra aspettare qualcuno. Infine si muove, calca meglio il cappello sopra la testa, tiene le mani sprofondate dentro le tasche e scende i pochi gradini di fronte a sé avviandosi verso una zona dove un’altra persona sta consultando il proprio orologio da polso.
Lui gli arriva di fianco, non dice niente, ma la sua presenza improvvisa fa voltare di scatto quella persona che forse proprio non si aspettava di trovarsi accanto qualcuno che presumibilmente neppure conosce. I due non si dicono niente, la persona  sorpresa sembra scocciata della sua presenza, nella telecamera della banca posizionata proprio sopra di loro appare chiara l’immagine dei due tizi che si scambiano inizialmente delle occhiate nervose. Forse si dicono anche qualcosa, ma questo purtroppo non è molto chiaro, considerata la forte distanza dagli obiettivi delle telecamere.
Lui infine se ne va, tornando con passo stizzito verso il colonnato di prima, l’altro, un attimo dopo, sembra proprio sparire velocemente all’interno del locale poco distante. Arriva un’automobile scura, rallenta, si ferma, sembra come attendere qualcosa, poi gira lentamente tutta la piazza andando con calma a parcheggiare sul lato della piazza davanti al porticato. Lui esce nuovamente da dietro una delle colonne, si fa avanti, ed avvicinandosi lascia che qualcuno in sua presenza apra il finestrino di quella macchina, gli dica qualcosa, poi lo faccia salire per far ripartire la vettura subito dopo.
Lui adesso è sopra la macchina che non è ancora uscita da quella piazza, ma che subito torna a fermarsi, lo sportello si apre di nuovo, la telecamera inquadra un breve battibecco che sembra si sia intavolato tra gli occupanti del mezzo. Lui scende, e rimasto immediatamente da solo, quasi tentenna in balia di preoccupazioni che precedentemente pareva non avere, ma infine va verso una delle panchine al centro del vasto spiazzo e si siede. Qualcuno, mani in tasca e passo leggero, lo raggiunge con flemma restando in sua prossimità ma ad una certa distanza: gli dice qualcosa, lui sicuramente non è interessato da quegli argomenti, non pare neppure rispondere, poi addirittura se ne va. Non c’è stato nessuno scambio di soldi fino a questo momento, il fatto è sicuro, e neppure di buste chiuse o di oggetti.
Lui dopo parecchi minuti trascorsi sulla panchina si alza, si muove da quel giardinetto centrale e va verso il caffè. Esce in quel momento la persona di prima, lo guarda, probabilmente meravigliata di trovarselo ancora tra i piedi, lui pare ignorare chiunque, ma l’altro da dietro lo abbraccia, come per trattarlo parimenti a un amico, e sulla soglia del bar lui si accascia, forse per un malore, verrebbe da pensare riguardando le immagini registrate. Ma soltanto osservando bene tutto con attenzione e rallentando le azioni, si capisce come la persona incontrata gli abbia steso velocemente sopra la faccia un piccolo fazzoletto, forse imbevuto di una sostanza anestetizzante dall’effetto immediato. In seguito, tra tutte le persone inquadrate dagli obbiettivi delle telecamere, non si riuscirà a riconoscerne neppure una, neanche ricorrendo a vari confronti con gli schedari, e di nessuno di loro, pur registrati per molte volte dalle telecamere digitali, si scoprirà mai la vera identità.
Bruno Magnolfi

sabato 1 febbraio 2014

L'ultima volta.

La palestra è sempre la stessa, lui ormai non ha neppure bisogno di ricordare come sono fatte le docce, gli spogliatoi, gli armadietti; anzi, là dentro potrebbe quasi girare dappertutto senza guardare, anche con gli occhi bendati. Da anni ogni giorno un pomeriggio intero di allenamenti, i pesi, il sacco, la panca, insomma i medesimi esercizi di sempre, ed in più, per una volta la settimana, una serata intera con  l'allenatore, quello vero, quello che per esercizio gli fa sostenere anche dei piccoli incontri con altri ragazzi più o meno come lui, interrompendo continuamente ogni match solo per dire: stai più basso, schiva, colpisci adesso, non scoprirti, tanto che sono tutti continuamente a fermarsi, ad interrompere sul più bello qualsiasi azione, e ad ascoltare da quell’uomo un po’ brusco come correggersi, cosa evitare, quando attaccare, in questo modo lasciandosi togliere la voglia e il momento per dare libero sfogo ai veri istinti.
Forse dovrebbe persino smettere, ci ha già pensato più di una volta; ma quei quattro incontri piuttosto seri, sostenuti da quando ha iniziato, li ha vinti tutti, anche se ai punti, e gli è parsa addirittura quasi una semplice passeggiata: certo, tutti quanti subito dopo si sono complimentati con lui, e la poca gente presente lo ha anche applaudito, incoraggiato, ed a lui è piaciuto moltissimo tutto questo, quasi più di qualsiasi altra cosa. Sei una promessa, gli ha detto il suo allenatore senza guardarlo, però anche lui sa che non può andare sempre così, prima o poi qualcuno sarà pronto a rompergli il naso, forse riuscendo addirittura ad umiliarlo, e lui allora si sentirà un niente, uno che non è riuscito a fare nulla di buono.
La palestra è il posto dove lui si sente bene, si è sempre sentito bene là dentro, ed ultimamente ha anche allungato i tempi per farsi la doccia, quasi a cercare di trattenersi di più, così come sempre più spesso si è fermato senza motivo a pensare qualcosa, qualcosa che adesso non sa neanche lui come poter definire, mentre lentamente sta li a guardarsi nel suo piccolo specchio e a rivestirsi davanti all'armadietto di ferro. Quando fa gli esercizi invece si sente impegnato, ma non riesce a pensare, fa tutto in un modo meccanico, ascolta i suoi muscoli che poco alla volta si sciolgono, poi che si induriscono, e lo spingono ad andare più avanti, continuando con i medesimi movimenti fino a quando non sente dolore.
Forse c'è una vita anche fuori, immagina mentre saluta tutti come sempre sulla porta della palestra, ma è tanto tempo che neppure più la desidera, che non si interessa di altri argomenti che non siano vitamine, carboidrati, proteine, qualsiasi cosa che possa migliorare la sua forma fisica. Non desidera niente che sia più importante di quell’impegno, e in questa maniera per tutto il resto non rimane altra possibilità che cancellare qualsiasi diversivo. E poi ci sono anche quelle pasticche che gli hanno consigliato di assumere, da prendere sempre agli stessi orari, e gli integratori, i sali, tutto quel corollario di usi e abitudini che sembrano sempre di più far parte della sua giornata.
            Forse l’allenatore si è anche accorto che qualcosa non va, pensa una sera. Lo guarda, dice qualcosa senza importanza, gli gira le spalle, poi torna a scrutarlo. Lui prosegue a colpire usando la tecnica che ha messo a punto ma senza mai dimenticare la forza. Poi si ferma, si immobilizza, forse d'improvviso vorrebbe addirittura piangere, ma non lo fa, anche se con un certo sforzo. L’allenatore è lì, non dice niente, sa perfettamente che quei momenti arrivano sempre per i ragazzi così. Lui allora si accosta al suo angolo, prende il suo asciugamano, non trova niente da dire, non guarda nessuno, sa solamente che deve andarsene, non c’è nient'altro da fare, perché adesso è assolutamente convinto che quella è stata davvero la sua ultima volta.

            Bruno Magnolfi