Un ronzio interno, da qualche parte, forse un fremito, non so; probabilmente soltanto una sensazione, ma di quelle forti, che ti lasciano senza parole, che stanno probabilmente ad indicare che è successo qualcosa, come se improvvisamente avesse mutato posizione un elemento, magari semplice, marginale, ma su cui quasi certamente si appoggiavano tante altre cose. Osservo attorno e mi pare tutto stia al proprio posto, poi cerco con calma di localizzare dentro di me quel qualcosa che è cambiato, che non è più com’era prima.
Una sciocchezza, ecco qual è il risultato di tutte le mie preoccupazioni, penso; eppure se mi fermo, se resto in ascolto di ogni inezia, se cerco di starmene completamente immobile, è come se provassi di nuovo quella inedita sensazione di prima, come fosse ancora qui, insieme a me, forse dentro di me: un componente che non conoscevo, penso, e che salta fuori all’improvviso a cambiare chissà cosa delle mie giornate. Ed è questo che mi fa veramente paura: dover cambiare, affrontare uno scenario completamente nuovo, cercando di resistere all’attacco di un’entità sconosciuta, di un’intollerabile essere che in un attimo diversifica la mia realtà.
Mi sistemo seduto, calmo, fingo quasi indifferenza, cerco di riflettere, ma ho la fronte sudata, so perfettamente che devo reagire in qualche maniera, e questo mi procura ansia, mi predispone in maniera totalmente negativa nell’attesa di un rivolgimento a cui dovrò partecipare con tutto me stesso, così come ormai pare incontrovertibile. Non provo dolore, almeno per ora, niente di localizzato, eppure un’uggia insopportabile continua a mortificarmi, regalandomi un’irrequietezza che neppure immaginavo possibile.
Un ronzio, forse un fremito, non so neppure definire cosa possa essere avvenuto effettivamente, ma sicuramente tutto questo è l’ambasciatore di qualcosa di grave, un depauperamento generale e improvviso di tutto il mio organismo, forse, che non è senz’altro pronto ad affrontare una cosa di quel genere. Osservo i miei oggetti di sempre e mi sembra impossibile che tutto possa rimanere così indifferentemente al proprio posto: sollevo un libro che avevo appoggiato su uno scaffale da chissà quanto tempo, per leggerlo quando mi sarebbe andato, e penso che non potrò più neanche guardarlo, probabilmente, diverrà tra breve una cosa inutile nelle mie mani, come tutto ciò che c’è all’interno di questa stanza, che mi apparirà un luogo quasi ostile .
Poi mi scuoto, torno ad alzarmi, e passeggio nervosamente nel mio appartamento: sono perduto, penso, è evidente. Devo cercare di fare mente locale, e sistemare tutte le cose che posso, prima che sopraggiunga il peggio, l’incommensurabile, quel cambiamento che non potrà permettere più la tranquillità di cui avevo goduto fino adesso. Muovo le mani e il corpo nervosamente, non riesco a comportarmi in una maniera differente, tutto mi crolla addosso, quasi come fossi preda del mio stesso disagio. Qualcuno suona il campanello, ci mancava solo questo, penso, sarà un vicino o un conoscente a cui dovrò spiegare tutta questa situazione, un signor nessuno al quale riferire di ogni sintomo che provo, ogni dettaglio del mio claustrofobico stato d’animo, di questa maledetta sensazione che tutto sia alla fine, ormai perduto, disperso nel nostro mondo di polvere e di roccia.
Apro, è il mio dirimpettaio: mi guarda, ci mette un secondo o due prima di parlare, poi si decide: ci scusi, dice ad occhi spalancati, come di chi sta cercando di dialogare con il diavolo, o qualcosa di quel genere. Stiamo spostando alcuni mobili, nel nostro appartamento; ci dispiace di causarle qualche piccolo disagio.
Bruno Magnolfi
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