martedì 12 giugno 2012

Dentro la sofferenza.


La donna è ferma, in piedi sul marciapiede, da sola, ed osserva senza troppo interesse qualcosa sotto ai faretti illuminanti di una vetrina del negozio di abbigliamento davanti ai suoi occhi. Si sente tranquilla, sembra non ci sia niente che possa turbarla, o almeno il suo comportamento sembra assolutamente di normale serenità, eppure le basta spostare lo sguardo verso l’angolo più in alto del vetro per scoprire nel riflesso le finestre della casa di fronte alla strada, e per rendersi conto così, con una semplice occhiata, che ci vorrà ancora del tempo prima che riesca davvero a starsene lì, deliberatamente, con quella indifferenza di cui avverte impellente la necessità. Le finestre del primo piano appaiono socchiuse, già solo questo è un indice certo di ciò che è venuta ad appurare, il resto è il solito grigiore abituale. Cerca qualcosa nella sua borsa, come volesse sincerarsi di aver preso con sé dei contanti per un acquisto improrogabile, e perde deliberatamente del tempo, sembra come attendere un segnale preciso, oppure l’idea che le manca, o lo stimolo giusto, o forse il coraggio per continuare ad attardarsi ancora in quel luogo esatto della città. Ma infine eccolo, è lui, lo riconosce immediatamente, anzi lo sente, come se un richiamo preciso giungesse a lei da quella porzione di strada; sta uscendo dal portone della palazzina senza mostrare nessuna fretta, senza notarla neppure, visto che lei è di spalle ed indossa un cappello un po’ insolito, e infine si allontana con il suo passo consueto, il medesimo modo di camminare che lei sa distinguere da sempre tra mille altri. E’ da solo, già questo è un indizio, e infine non sembra proprio ci sia nel suo comportamento qualcosa che lei non riconosca perfettamente, perfino l’immancabile e leggero colpo di tosse a cui segue come per obbligo quel quasi scontato schiarirsi di gola, deboli rumori su un robusto tappeto sonoro cittadino sempre in funzione, che lei però riesce a distinguere perfettamente. Forse potrebbe seguirlo, pensa come per costruire un comportamento a cui attenersi senza chiedersene neppure il motivo; ma non lo farà, riflette immediatamente: a lei è sufficiente sapere che c’è, che può arrivare fin lì per vederlo, tutte le volte che vuole, anche se la loro relazione è finita. Torna ad osservare qualcosa in quella boutique, ed infine si decide ad entrare. Lentamente ritorna a guardare i capi di abbigliamento che per lungo tempo ha studiato dalla parte opposta della vetrina, e proprio nello stesso momento si accorge che lui sta già rientrando, adesso lo vede benissimo da dentro al negozio, è uscito solo per acquistare un pacchetto delle sue sigarette e ne ha accesa una, soddisfatto di quel piccolo piacere a cui certo non poteva rinunciare più a lungo, sbuffando in alto quel fumo grigio assieme a tutto ciò che sembra persino non procurargli particolare soddisfazione. Per un attimo lei si sente una spia di quei comportamenti, e forse avverte un brivido leggero per la vergogna, ma infine lo vede mentre apre di nuovo quel suo portone e sparisce dentro al palazzo, e allora quell’odio leggero che si è abituata a provare verso di lui, ecco che riprende ordinario a scorrerle dentro. Cosa importa il tempo che ci vorrà per riuscire a rendere la sua figura indifferente ai suoi occhi? pensa mentre palpa il tessuto di una camicetta proprio della sua taglia. Sente dentro di sé di aver iniziato un lavoro a cui non può rinunciare, e si ritiene soddisfatta di questo. Poi si volge sorridendo verso la commessa giunta vicino, e che le ha appena chiesto qualcosa giusto per consuetudine commerciale: scusi, risponde lei quasi divertita; speravo la stoffa forse diversa; questa non è esattamente ciò che cercavo.
Bruno Magnolfi


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