mercoledì 7 dicembre 2011

Al margine dei pensieri correnti.



Sono in piedi, immobile, sopra questo cavalcavia ferroviario, e osservo le case e le strade di questo quartiere qua sotto, mentre, senza neppure volerlo, mi vengono in mente i piccoli fatti della vita quotidiana che probabilmente si stanno verificando proprio laggiù, da qualche parte. E’ pericoloso stare qui, ne sono cosciente, specialmente a quest’ora della tarda serata, quando inizia a far buio: sono già transitati due treni, i macchinisti mi hanno notato e hanno fatto fischiare forte le loro sirene; sicuramente hanno già telefonato a qualche divisa, verranno a controllare tra poco, devo sbrigarmi, non ho molto tempo.

Ho scavalcato la recinzione senza farmi notare, ho percorso lo stretto viottolo che porta fino al punto più in alto, dove lo sguardo spazia lontano, e adesso una massa di pensieri ha iniziato a martellarmi dentro la testa. Non vorrei pensare, non vorrei pensare a niente, vorrei soltanto starmene qui, respirare quest’aria densa della città, perdermi in questo tramonto sulla periferia, e osservare le luci che continuano ad accendersi, come fosse uno spettacolo unico, di una natura incontaminata da tutto, da tutte le brutture che accadono.

Mi piacerebbe scavare una nicchia nelle travature di cemento di questo posto: restarmene qui, ad osservare questo scorcio della città, lontano dalle cose di sempre, fuori dagli egoismi di tutti, distante dalla battaglia di sopravvivenza che va avanti ogni giorno. Se anche ne avessi la voglia, non saprei neppure cosa o chi portare con me qualche volta nel mio luogo segreto: probabilmente starei lì da solo, senza nient’altro, in quel piccolo spazio dove rifugiare me stesso, e questo è tutto ciò di cui avrei veramente bisogno, un buco ignoto a chiunque, una piccola tana dove ritirarmi in silenzio, in solitudine, lontano ed esterno a ogni logica.

Non so neppure cosa mi trattenga dal gettarmi di sotto dall’alto di questo ponte: forse l’abitudine a tirare avanti in qualche maniera, forse la sottile speranza che qualcosa possa davvero cambiare. Devo andarmene da qui, verranno le divise tra poco, mi porteranno al comando per farmi la solita ramanzina, poi mi butteranno per strada quando sarà troppo tardi anche per trovare un posto dove passare la notte. Lo sanno che dopo un certo orario non resta che andarsene alla stazione, a ciondolare nelle sale d’attesa, ma non gli importa un bel niente di te, neanche di lasciarti dormire almeno qualche ora al comando.

Qualcuno mi ha detto che la gente come me è semplicemente il risultato di tanti errori sociali, ma sono soltanto parole, a me non importa un bel niente che si cerchi di fare della teoria sulla mia condizione. Però vorrei starmene qui, tutte le volte che voglio: godermi lo spettacolo delle luci che continuano ad accendersi dentro le case, e vedere le macchine che corrono lungo il viale là in fondo, immaginando che tutto sia a posto, che c’è forse un piccolo spazio per tutti, anche per chi si è ritrovato così al margine delle cose ordinarie. Non lo so perché sono qui, non cerco di provocare nessuno, neanche quei macchinisti che mi guardano e segnalano la mia posizione: vorrei stare qui come si sta dentro a una casa, con l’intimità di se stessi, e godere del senso profondo di sentirsi persona, rispettato dagli altri, elevato dai propri pensieri, da quanto si possa essere stati capaci di vivere, in un modo o nell’altro, degni di essere, oltre ogni giudizio. Nient’altro.

Bruno Magnolfi

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