Aveva detto qualcosa, lei, dal basso, che il suo interlocutore non era riuscito neanche a comprendere, ma probabilmente era stato tale il modo, così cortese e sorridente, con il quale aveva in qualche maniera cercato di spiegarsi dalla strada, che quest’ultimo era rientrato, per andare con solerzia a premere l’interruttore tramite il quale si apriva il portone del palazzo. Il sole di quel tardo pomeriggio era piacevole, l’uomo si era sentito bene per quell’attimo in cui si era affacciato alla finestra della sua cucina, tanto da chiedersi perché non lo avesse fatto prima, non foss’altro che per starsene a guardare le persone che scorrevano lungo i marciapiedi, e a registrare quelle vetture, poche a dire la verità, che passavano ogni tanto in quella strada di quel quartiere fuori mano.
La ragazza era entrata nel portone, lo aveva richiuso alle sue spalle, quindi aveva preso le scale con calma, e si era soffermata per un attimo sul pianerottolo del primo piano, l’uomo l’aveva ben vista mentre ne studiava la fisionomia e soprattutto il passo con cui stava salendo, quasi troppo lento ad essere sinceri, ed osservandone i capelli, l’abbigliamento, persino le scarpe. Infine lei aveva ripreso a salire quegli ultimi scalini, proprio nel momento in cui l’uomo aveva provato un moto come di fastidio per quella cosa che stava capitando e gli faceva senz’altro solo perdere del tempo. Lei, continuando la sua ascesa lungo quelle ultime due rampe, aveva proseguito ad osservare solo i gradini avanti a sé, e soltanto quando era giunta a pochi passi di distanza aveva sollevato lo sguardo verso di lui, che era rimasto immobile, quasi con curiosità ad attenderla.
L’uomo aveva già scartato dentro di sé alcune possibilità: non poteva essere una venditrice di prodotti, quella ragazza, non aveva alcun bagaglio; non poteva neppure essere una sua lontana parente, non ne aveva lui di quell’età; neppure poteva darsi svolgesse lavoro come fattorino o come portatrice di messaggi, non c’era nel suo vestiario alcun riferimento ad un compito del genere; ed oltretutto nessuno di quel settore si sarebbe posto a salire le scale con quella lentezza. Così sembrava non esistesse proprio alcuna possibilità, se non qualcosa che sfuggiva alla normale comprensione. Forse, tornando alla prima impressione che lui con giudizio aveva avuto, era quasi sul punto di sentirsi ormai convinto che quella donna avesse, per sua disgrazia, sbagliato l’indirizzo, e forse stava già pensando di interromperle la fatica di salire quegli ultimi due o tre gradini, di avvertirla dell’errore, insomma, quando lei, guardandolo con un sorriso, quasi con semplicità, ebbe a dire soltanto: sono la nuova inquilina del terzo piano; mi scusi, ma non possiedo ancora la chiave del portone principale.
Bruno Magnolfi
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