Trascorro
settimane di indifferenza verso tutto, rimanendo seduto in una vecchia
poltrona sfondata davanti al televisore. Poi mi alzo, esco, salgo su un
autobus ed arrivo diritto fino al capolinea, in una periferia assurda di
palazzoni. In un condominio occupato da disgraziati salgo le scale
ancora a cemento cercando un amico che sono sicuro abita qui. Sono stato
in questo posto soltanto in una occasione, ma è la prima volta che sono
da solo, e forse per questo mi sento osservato mentre ascolto parecchie
voci che si esprimono urlando oltre i muri stonacati dei pianerottoli.
Potrei benissimo essere sotto il tiro di una carabina ad aria compressa,
penso, il cui sparo non è assolutamente mortale, ma è silenzioso, e se
colpisce la zona dei testicoli può provocare dei danni irreparabili e
tali da non farmi tornare mai più la voglia di farmi vedere in questi
paraggi.
L’amico
non c’è, mi dice un tizio che richiude subito dopo la porta senza darmi
nessuna indicazione, ed io, sempre mostrando le mani ben lontane dal
corpo e dalle tasche, ritorno da basso, e vado a sedermi su un muretto
di mattoni accatastati poco distante in mezzo alla polvere, cercando di
riflettere su ciò che posso fare di meglio. Nessun numero di telefono,
nessuna rubrica in questo ambiente, posso solo tornare di nuovo. Una
cicciona con la gonna troppo corta, mentre cammina per i fatti propri,
dice che potrebbe farmi un pompino per cinque euro. Non ho soldi,
rispondo, e osservo la mia figura svanire dietro la retina dei suoi
occhi. La immagino mentre sputa per terra la sborra acquosa di qualche
vecchio, ed un leggero urto di vomito mi prende, forse perché non mangio
qualcosa di serio, che non siano i panini ketchup e maionese del Burgy,
ormai da giorni.
Dei
ragazzi là attorno tirano in malo modo pedate a un pallone. Sembrano
quasi violentemente cercare di svagarsi, ma il quotidiano è ad alta
velocità, penso mentre li guardo: se questi ragazzi non riusciranno a
cogliere il giusto momento saranno esclusi per sempre da tutto. Devo
tornare per forza da queste parti domani, rifletto, a cercare l’amico
magari in orario diverso da oggi. E’ un piccolo spacciatore, una persona
tranquilla e cortese, se non riesco a farmi dare una mano da lui non ho
altra scelta che borseggiare una vecchia. La realtà da queste parti
sembra lasciare alle spalle una radiografia di se stessa ogni pochi
minuti, e i risultati si possono quasi apprezzare sui monitor dei
cellulari in mano e in tasca a chiunque in tutta la zona, anche se
risultano un vezzo, degli oggetti praticamente inservibili e inutili,
dei talismani contemporanei.
Affronto
un buon tratto a piedi tanto per perdere tempo e pensare a qualcosa, poi
sosto ad una fermata per prendere l’autobus, assieme ad un paio di neri
che continuano a parlare tra loro con voce persino troppo alta.
Ammazzerei chi non sa stare al suo posto, rifletto, ma devo imparare la
tolleranza come arma per fronteggiare ogni tipo di avversità. Studio i
quartieri, le persone che vedo, tutta la città che scorre fuori dai
vetri, poi scendo di corsa dal mezzo pubblico, quando avvisto ad
un’altra fermata la ferrea divisa del controllore di biglietti.
Attraverso
l’intero quartiere pulcioso dove c’è la mia stanza, e poi torno
immediatamente alla fida poltrona sfondata, giusto per accorgermi che il
televisore è rimasto acceso per tutto il tempo, sintonizzato su un
programma qualsiasi che mi pare di non avere mai visto. Meglio così,
penso: alla fine è proprio come se non mi fossi mai mosso da qui. Devo
continuare a studiare, rifletto, alla fine sono sicuro che mi risulterà
assolutamente chiaro e evidente il percorso da fare.
Bruno Magnolfi