Mentre
sono qui sento la porta socchiudersi alle mie spalle, ma non mi volto,
lascio che chiunque sia resti lì sulla soglia ad osservarmi, oppure
faccia la sua parte fino in fondo: dica qualcosa, per esempio, oppure
formuli una semplice domanda, affermi in qualche modo la sua presenza
dentro questa stanza. Passa qualche minuto e non succede niente. Il muro
di fronte a me si muove leggermente verso destra, e più in alto i
nembi-cumuli scorrono con la loro solita lentezza.
Penso che
questo non succedere niente sia già di per sé un importante accadimento,
perciò proseguo con la mia immobilità: respiro in modo regolare, muovo
gli occhi lungo gli orli degli aloni di umidità del muro, e non mi pare
ci sia altro di importante a cui dar seguito. Sento la porta richiudersi
alle mie spalle: chiunque sia stato per questo breve tempo dietro di
me, penso, ha usato l’accortezza di lasciarmi alle mie cose, alle mie
riflessioni evidentemente non condivisibili.
Le nuvole
si spostano, il muro pare inclinarsi mentre la luce sembra giungere in
modo più obliquo di poco prima. Mi volto per tornare ad osservare di
nuovo questa mia stanza: qualcosa di impercettibile è accaduto, penso,
però non so distinguerlo. Mi sforzo, guardo i mobili, le pareti, quel
lampadario al centro del soffitto. Infine mi alzo dalla sedia, mi scosto
dal mio punto di osservazione preferito, mi muovo verso la porta, ma
lentamente, come sospettoso, meditando con accuratezza ogni passo e ogni
spostamento.
Giro la
maniglia, la porta si apre, nel corridoio non c’è nessuno. Richiudo,
torno alla finestra: attenderò ancora che qualcosa accada, penso, che le
nuvole forse entrino per conto proprio dentro questa stanza, scorrano
lungo il soffitto e sopra le pareti, e che qualcuno le scolpisca, dia
loro delle forme che siano riconoscibili, e riesca a plasmarle in
oggetti veri, meno effimeri, in cose reali e concrete, quasi in fogge
architettoniche, e che tutto ciò che deve succedere succeda, una volta
per tutte.
Bruno Magnolfi
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