Nella
stanza adiacente a questa cameretta dove mi tengono relegato, chiuso a chiave
ogni volta che qualcuno di loro esce dall’appartamento per qualche commissione,
sono sicuro che in questo momento stanno parlando di me, di come giorno per
giorno stia diventando sempre più un problema, e del peso che rappresento per
chi, come tutti loro, sente l’oppressione della mia presenza in questa casa.
Non riesco a sentire del tutto i loro discorsi, soltanto qualche parola o sillaba
isolata, ma immagino con facilità il mio nome ripetuto più volte, quasi ad
esorcizzare la persona che lo abita, in un crescendo di opinioni probabilmente sempre
più sferzanti e cattive, dette magari con voci alterate, a malapena tenute
sotto controllo, per non farsi sentire dal vicinato.
Da
un giorno all’altro attendo il verdetto che immancabilmente mi colpirà: mi
toglieranno la possibilità anche di aprire un semplice spiraglio della
finestra, di uscire da questa stanzetta per gironzolare lungo il corridoio e
sedermi su una sedia del largo salotto; forse hanno addirittura già in mente di
aumentare la dose del calmante che mi costringono ad assumere regolarmente.
Vorrebbero annullarmi, questo è il punto, ne sono quasi sicuro; vorrebbero farmi
sparire da qui, di davanti la loro presenza, forse trovare la maniera morale per
lasciarmi richiudere in qualche istituto.
Resisto:
cerco di dormire la maggior parte delle ore del giorno, e qualche volta, quando
mi sento irrequieto, magari proprio durante la notte, nel silenzio profondo di
questo quartiere dimenticato, scrivo qualcosa sui margini dei pezzi di carta
che trovo qua e là, strappati da qualche rivista illustrata o dai libri vecchi
e ingialliti sugli scaffali. Cerco di appuntare le cose che sento, quelle che
mi sembrano maggiormente importanti, utilizzando un vocabolario mentale ridotto
ai minimi termini, ma che ugualmente certe volte mi pare efficace, adatto in
qualche maniera a spiegare con parole semplici i miei poveri pensieri.
Sono
un essere scomodo, questa è la verità. Un vecchio rincitrullito che ha sempre
cercato di parlare di tutto, di dire quello che pensa, di non vergognarsi mai
dei propri modi di intendere tutte le cose. Non ho mai cercato consapevolmente
di oppormi a loro, piuttosto mi è sempre sembrato importante cercare di essere
onesto, giusto, capace di valori in cui credere. Ma tutto questo ormai non ha
alcuna importanza: proseguo nelle mie convinzioni a tirare avanti come posso
per allineare queste mie semplici parole, tutto ciò che mi resta. Infine
qualcuno socchiude la porta, mi osservano per un attimo restando poco oltre la
soglia. Non cambio espressione, resto fermo a guardare le loro facce, i visi
seri e tirati che forse devono comunicarmi qualcosa. Non ti chiuderemo più in
questa camera, dicono in fretta; ma solo se ci prometti che non scriverai più i
tuoi foglietti che getti continuamente dal davanzale, e che ormai hanno
attirato curiosi e sostenitori delle tue idiozie.
Naturalmente
rifiuto ancora una volta qualsiasi trattativa, anche se mi rendo conto che la
mia battaglia sarà persa comunque; però sorrido, non ho assolutamente paura di
loro, penso come ultima riflessione. Ho le mie parole con me, questo mi basta.
Bruno
Magnolfi
Nessun commento:
Posta un commento