domenica 30 giugno 2013

Ultima annotazione.

            
            Nella stanza adiacente a questa cameretta dove mi tengono relegato, chiuso a chiave ogni volta che qualcuno di loro esce dall’appartamento per qualche commissione, sono sicuro che in questo momento stanno parlando di me, di come giorno per giorno stia diventando sempre più un problema, e del peso che rappresento per chi, come tutti loro, sente l’oppressione della mia presenza in questa casa. Non riesco a sentire del tutto i loro discorsi, soltanto qualche parola o sillaba isolata, ma immagino con facilità il mio nome ripetuto più volte, quasi ad esorcizzare la persona che lo abita, in un crescendo di opinioni probabilmente sempre più sferzanti e cattive, dette magari con voci alterate, a malapena tenute sotto controllo, per non farsi sentire dal vicinato.
            Da un giorno all’altro attendo il verdetto che immancabilmente mi colpirà: mi toglieranno la possibilità anche di aprire un semplice spiraglio della finestra, di uscire da questa stanzetta per gironzolare lungo il corridoio e sedermi su una sedia del largo salotto; forse hanno addirittura già in mente di aumentare la dose del calmante che mi costringono ad assumere regolarmente. Vorrebbero annullarmi, questo è il punto, ne sono quasi sicuro; vorrebbero farmi sparire da qui, di davanti la loro presenza, forse trovare la maniera morale per lasciarmi richiudere in qualche istituto.
            Resisto: cerco di dormire la maggior parte delle ore del giorno, e qualche volta, quando mi sento irrequieto, magari proprio durante la notte, nel silenzio profondo di questo quartiere dimenticato, scrivo qualcosa sui margini dei pezzi di carta che trovo qua e là, strappati da qualche rivista illustrata o dai libri vecchi e ingialliti sugli scaffali. Cerco di appuntare le cose che sento, quelle che mi sembrano maggiormente importanti, utilizzando un vocabolario mentale ridotto ai minimi termini, ma che ugualmente certe volte mi pare efficace, adatto in qualche maniera a spiegare con parole semplici i miei poveri pensieri.
            Sono un essere scomodo, questa è la verità. Un vecchio rincitrullito che ha sempre cercato di parlare di tutto, di dire quello che pensa, di non vergognarsi mai dei propri modi di intendere tutte le cose. Non ho mai cercato consapevolmente di oppormi a loro, piuttosto mi è sempre sembrato importante cercare di essere onesto, giusto, capace di valori in cui credere. Ma tutto questo ormai non ha alcuna importanza: proseguo nelle mie convinzioni a tirare avanti come posso per allineare queste mie semplici parole, tutto ciò che mi resta. Infine qualcuno socchiude la porta, mi osservano per un attimo restando poco oltre la soglia. Non cambio espressione, resto fermo a guardare le loro facce, i visi seri e tirati che forse devono comunicarmi qualcosa. Non ti chiuderemo più in questa camera, dicono in fretta; ma solo se ci prometti che non scriverai più i tuoi foglietti che getti continuamente dal davanzale, e che ormai hanno attirato curiosi e sostenitori delle tue idiozie.
            Naturalmente rifiuto ancora una volta qualsiasi trattativa, anche se mi rendo conto che la mia battaglia sarà persa comunque; però sorrido, non ho assolutamente paura di loro, penso come ultima riflessione. Ho le mie parole con me, questo mi basta.

            Bruno Magnolfi

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