domenica 9 giugno 2013

Strumento del demonio.

La prima volta che accadde, dottore, fu molti anni fa; ero ancora un ragazzino che non voleva studiare, mio padre era vivo, e prima dell’inizio della sua lunga malattia mi aveva trovato un lavoro, niente di speciale: andavo ad aiutare una signora in età un po’ avanzata al suo negozio di frutta e verdura che fino ad allora aveva gestito da sola. Stavo lì, servivo i clienti, portavo avanti e indietro le cassette con le patate, i pomodori, le mele, e la proprietaria dietro alla cassa prendeva i soldi e contava i resti, non dimenticandosi mai di trattarmi praticamente come il suo servo. Poi, un pomeriggio che mi trovavo sul retro a sistemare qualcosa, ecco che iniziai d’improvviso a parlare con una voce diversa dalla mia, e a dire delle cose sconclusionate, cose che neppure pensavo.
La signora si impressionò intimandomi di starle lontana, dottore, mi creda; mi disse anche di correre a casa, lontano da lei, ed io, con una mano sopra la bocca, corsi da mio padre, ormai allettato, e da mia madre, senza neppure sapere come spiegarmi con loro. Il medico di allora mi mise a riposo, mi fece prendere dei tranquillanti per diversi giorni, ma sinceramente non accadde più nulla, e tutto alla svelta riprese un andamento piuttosto normale, così tornai a lavorare, ad occuparmi delle cose di sempre, anche se la signora del negozio di frutta e verdura ormai mi guardava con un certo sospetto, come se fosse sicura che da me non sarebbe venuto mai niente di buono. Per lei forse era quasi una sfida: mi disprezzava, era evidente, ma questo non le impediva di avere bisogno dei miei servizi.
Poi accadde qualcosa: all’ora di chiusura di un giorno qualsiasi la signora mi aveva già fatto uscire dal negozio, aveva anzi detto ad alta voce e in malo modo di andarmene, che tanto non riusciva più neppure a sopportare la mia presenza, e lei era rimasta a sistemare qualcosa là dentro prima di serrare tutte le porte: fu allora, dottore, che nel magazzino sul retro cadde d’improvviso una fila di cassette piene di frutta, proprio mentre la vecchia era lì, e così la portarono subito all’ospedale, ma lei non si rialzò, e rimase su una sedia a rotelle. Il negozio fu chiuso e quando andai a farle visita, la signora non disse niente, ma mi guardò come se la colpa di tutto fosse solo la mia. In quei giorni, dottore, avevo ripreso di nuovo a parlare con una voce diversa. Questa volta mi ero chiuso da solo dentro una stanza cercando di capire come fosse possibile, e alla fine ero riuscito a rendermi conto che dentro di me era come ci fosse un’altra persona. Dentro alla testa riuscivo come a sentirne i pensieri, e poco per volta mi rendevo conto che per me era impossibile avere un minimo di controllo su quanto accadeva.
Tramite le preghiere dei miei genitori la signora, che intanto aveva ceduto la sua bottega, mi prese a lavorare in casa sua, visto che quasi non poteva più muoversi, ed io andavo lì a sbrigare alcune delle faccende di cui aveva bisogno, anche se lei mi trattava ancora peggio di quando eravamo al negozio. Una mattina, quando entrai nella sua abitazione, alla stessa ora di ogni giorno, la trovai lì, dottore, stecchita sulla sua sedia a rotelle, con gli occhi e la bocca spalancati, come se avesse gridato chissà cosa fino alla fine. Sapevo che in qualche modo la colpa era mia di quanto successo, anche se non riuscivo a capire in quale maniera, così mi chiusi in casa soltanto con la mia mamma, mio padre ormai era già morto, e per molto tempo non accadde più neanche una volta che io parlassi con quella voce diversa.
Da allora sono trascorsi quasi due anni e tutto è filato via liscio, senza che sia successo niente di nuovo. Ma negli ultimi tempi, dopo che è morto anche il mio vecchio medico, quello con cui parlavo di tutto, e quando negli ultimi giorni ho iniziato di nuovo a sentirmi un po’ strano, come se stesse per accadere qualcosa, ed ho ripreso, anche se sottotono, a parlare con la voce di quell’altro - è accaduto ormai per tre volte in due sole settimane -, mi sento davvero preoccupato: ho paura che succeda ancora qualcosa di cui non riesco ad avere controllo.
Il dottore lo aveva osservato in silenzio, inizialmente aveva annuito per incoraggiarlo a spiegarsi, infine si era alzato dalla sua sedia, gli aveva toccato una spalla, poi aveva detto: non c’è affatto bisogno che ti preoccupi ulteriormente, adesso devi solo cercare di allontanare da te ogni pensiero diverso da tutti i tuoi soliti: il compito che avevi da assolvere, ormai, è stato eseguito.


Bruno Magnolfi

Nessun commento:

Posta un commento