Una donna
osserva un uomo sull’autobus. Ambedue stanno in piedi, con il braccio
sollevato ad impugnare il sostegno. La vettura pubblica lascia
sobbalzare le sospensioni scariche sulle irregolarità dell’asfalto, i
viaggiatori ondeggiano alle curve e tremano seguendo ogni movimento
della macchina. Lei finge di guardare qualcosa dal finestrino, lui finge
di non essere guardato o veramente non si accorge di niente. Eppure in
quei minuti c’è qualcosa che non è una cosa qualsiasi, e c’è un momento
che non può essere scambiato per un momento qualunque. A lei piacerebbe
pronunciare una serie di parole tali che potessero incuriosire l’uomo,
ma non riesce a dirle, e neppure a pensarle, e poi non sa decidersi,
continua a riflettere ogni frase che le viene in mente come fosse
soltanto quella sbagliata.
Il
mezzo pubblico si ferma, alcuni scendono e altri salgono, ma l’uomo è
sempre lì, imperterrito, e lei ha sempre più voglia di toccargli una
spalla sopra la giacca, di sorridergli, mostrare per intero la sua
debolezza che è umana, naturale, spontanea. Ma non lo fa, non fa niente
che possa essere interpretato come una tappa di avvicinamento verso di
lui: tutto deve essere affidato al caso, pensa; oppure venire
direttamente da quest’uomo. Forse basterebbe un cenno, un semplice
sfioramento per sbaglio del piede o di una mano, mi scusi, un sorriso,
ecco fatto, scendo alla prossima, anche io, dicono in fretta.
Invece
no, e lui adesso si muove, fa un passo, si avvicina alla porta
pneumatica, tutto sembra improvvisamente perduto, allora anche lei cerca
di muoversi, va verso l’uscita, l’autobus stride mentre si ferma,
scorrono le porte, in molti scendono. Oppure no, è sufficiente lasciare
un’espressione nell’aria, la velatura vaga di un viso già visto per il
giorno seguente, medesima ora, la stessa linea, buongiorno, si, scendo
tra poco, e ancora il giorno dopo, così, sempre lo stesso percorso,
tutto identico, come vanno le cose? Benissimo, adesso. Certo, potremmo
prendere assieme un caffè, magari andare a cena una di queste sere, e
imbastire alla svelta una relazione.
Non
è possibile, pensa la donna; per quanto sia interessante una cosa del
genere, non si può fare. Bisogna trovare un’altra maniera, rapida,
immediata, adesso; oppure nessun’altra maniera, e lasciar correre, come
fanno tutti, che tanto ogni cosa va avanti da sé se vuole, senza
impegnarsi, con indifferenza, che basta fare esattamente quello che
fanno gli altri, uguale agli altri, e lasciare che le giornate scorrano
senza inventarsi certi inciampi o certe alternative improbabili, ed
anche questo autobus, pieno di gente distante da me, pensa ancora la
donna, sarà lo stesso anche domani, nessun problema, e il giorno
seguente, e dopo ancora.
L’uomo
improvvisamente la nota, la guarda un momento, poi si volta. Anche lei
si volta, lascia che adesso sia lui ad osservarla, a darle un’occhiata
esauriente, che gli faccia venire a mente la possibilità di invitarla a
prendere un caffè, portarla a cena, e tutto il resto. Qualcuno più
avanti parla al telefono, altri si scambiano qualche opinione, nessuno
comprende che quello che sta per succedere sia una cosa fondamentale per
lui e per lei, l’elemento essenziale che infonde di senso una giornata
per il resto come tutte le altre. Poi la porta pneumatica torna a
chiudersi, e l’uomo non c’è, non c’è più, è già sceso anche lui, perso
tra una folla omogenea.
Bruno Magnolfi
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