Ormai
avevo deciso: da quel momento in avanti avrei usato una maggiore
precisione nel tenere a memoria nomi, luoghi, situazioni e fatti. Si
trattava di una variazione di comportamento del tutto epocale per me,
abituato da sempre come ero, ad atteggiarmi in modo pressappochista,
persino superficiale certe volte, e in qualche caso addirittura ambiguo.
Questo proposito, preso dopo molte riflessioni, al momento mi procurava
già una certa ansia, considerato l’impegno a cui mi esponevo. Comunque
si trattava senza dubbio di qualcosa di fondamentale per me: dare
importanza a certe cose magari tralasciandole molte altre, ed evitare
qualsiasi parere, giudizio, convincimento; delle informazioni prescelte
studiarne i dettagli, scavare nei particolari, fino a trovare delle
connessioni esatte che mi permettessero di tenere a mente la maggior
quantità possibile di notizie precise, e sottrarsi in questo modo
all’ordinario e superato formarsi di una semplice opinione.
Non volevo
parlarne a nessuno di questo progetto, così, fin dai primi giorni, mi
costringevo a fingere con gli altri, pur con molte difficoltà, un
comportamento identico a quello che avevo sempre avuto, anche se allo
stesso tempo dentro di me cercavo di portare avanti il lavoro che mi ero
prospettato di affrontare. Avevo anche iniziato ad analizzare alcuni
presupposti: incamerare dati, pensavo, probabilmente era un fatto
naturale, ma a me era sempre parso che tutto quanto fosse parte di
un’idea generale del mondo che andava giorno dopo giorno semplicemente a
depositarsi nella coscienza. Ricordarsi di ogni particolare come
elemento a sé stante, invece, cambiava completamente le cose. Mi sentivo
all’improvviso libero di non farmi più un’opinione generale, nessun
giudizio sulle cose del mondo, annullamento di ogni ordinario punto di
vista, e questo mi pareva un vantaggio assolutamente innegabile.
Gli amici
al caffè avevano preso a guardarmi con un certo sospetto mentre lasciavo
degli ampi silenzi su argomenti dei quali normalmente in passato aveva
sempre espresso un parere. Pur non volendo calcare la mano, adesso
preferivo dilungarmi su certi dettagli piuttosto che dire che cosa
pensavo in generale. Uno mi aveva addirittura chiesto se stessi male, ma
io avevo semplicemente sorriso: in fondo la necessità di cambiare era
nell’aria, secondo il mio tacito parere; e non si poteva peraltro
disconoscerne a lungo l’urgenza. Le cose di cui adesso parlavo con
tutti, si limitavano ormai sempre più all’esposizione di fatti infarciti
di date, di nomi e di altri particolari, tralasciando qualsiasi parere
in merito. Erano i dettagli a spiegare il mondo, nient’altro.
Uno dei
ragazzi al caffè, forse comprendendo il mio nuovo spirito, mi aveva
voltato decisamente le spalle, evitando persino di rivolgermi la parola.
Qualcosa non va, gli avevo chiesto sorseggiando come sempre il mio
bicchiere di birra; e lui lentamente aveva voltato il dorso verso di me,
poi mi aveva guardato a lungo, e infine aveva detto: neppure io ho
un’opinione precisa, però forse come te credo che l’epoca del dialogo
sia ormai al tramonto. Stiamo qui, beviamo in silenzio, assaporiamo il
gusto dei risultati di calcio e delle ultime elezioni politiche, ma
senza farci neppure un’idea per il prossimo futuro. Questo è ciò che ci
vuole, il resto è chiacchiera insulsa.
Bruno Magnolfi
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