domenica 2 giugno 2013

Delusione.


         
            Mi sono fermato a guardare il miracolo di uno stecco piantato a terra mentre lasciava germogliare da se stesso foglie e fiori. Poi ho osservato il cielo in alto, ed ho intuito che sarebbe venuto a piovere di lì a poco, così sono andato a ripararmi sotto ad una pensilina dove già stavano altre persone. Un uomo mi ha guardato con indifferenza, le sue mani parlavano di lavoro, di necessità di fare, di utilità nei confronti degli altri, ed ho avuto invidia di lui, così proteso verso qualcosa sicuramente di importante, lo stringere a sé un compito che senz’altro ne innalzava l’esistenza. Allora, visto che la pioggia non si decideva ancora a cadere, mi sono spostato da quel luogo ed ho iniziato a camminare tra la gente della strada, girando attorno alla piazza antistante, anche per riflettere meglio su questi aspetti, ed entrando alla fine dentro un caffè, giusto per incontrare qualcuno, una donna, che probabilmente era già ad un tavolo ad attendermi.
            Ci siamo salutati, e per un po’ siamo rimasti seduti soltanto a guardarci e a sorridere, davanti a noi qualcosa da bere a piccoli sorsi, e tra i desideri probabilmente migliaia di momenti simili a quello, pur con la consapevolezza che non si sarebbero mai verificati. Certe volte sono perplessa, diceva lei: mi occupo di qualcosa rispondendo semplicemente a degli automatismi, ma sempre più spesso da qualche tempo mi trovo a criticare questo mio comportamento. Così mi prendono i dubbi, e alla fine non so mai di che cosa sia meglio interessarsi, e di cosa invece sia meglio non preoccuparsi affatto.
            Io continuavo ad ascoltare quelle sue parole, e comprendevo perfettamente quale potesse essere il problema che la stava assillando. Non so, le dicevo, però credo che per sopravvivere si debba essere maggiormente ottimisti; e forse semplicemente evitare tutto ciò che non ci procura almeno un minimo entusiasmo. Poi restavamo in silenzio, senza altre parole a cui affidarsi. E Infine ci salutavamo sulla soglia del locale, lei se ne andava dalla parte opposta di quella dove dovevo andare io, e così tornavo a passi lenti verso la pensilina sotto alla quale c’erano ancora molte persone. All’improvviso iniziava a piovere, dapprima senza impegno, in seguito con maggiore intensità. Attendevo senza fretta cercando con gli occhi l’uomo che avevo notato in precedenza, ma adesso c’era soltanto una gran confusione di gente che cercava soltanto un riparo, e nessuno, tra tutti coloro a cui mi sfioravo, che avrei veramente voluto vedere.
            La pioggia si calmava alla fine, ed io prendevo la strada verso casa, ma sopra un marciapiede incontravo di nuovo l’uomo che avevo visto poco prima: adesso però sembrava serio, quasi corrucciato; fermo, guardava qualcosa dalla parte opposta della strada, come forse avrei potuto fare io stesso, ma probabilmente in assenza ormai di quello spirito positivo che pareva emanasse dalla sua persona fino a poco fa, e come se ogni buona impressione che avevo avuto di lui, si fosse in quel momento del tutto dileguata. Gli andavo vicino, allora, lo salutavo sorridendo, gli stringevo la mano senza neppure dargli una spiegazione del mio gesto, forse solo dettato dal bisogno di far nascere di nuovo in mezzo alla sua faccia quell’espressione da cui ero rimasto così colpito in precedenza. E infine me ne andavo, deluso, come sempre.
            Bruno Magnolfi

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