Mi sono
fermato a guardare il miracolo di uno stecco piantato a terra mentre
lasciava germogliare da se stesso foglie e fiori. Poi ho osservato il
cielo in alto, ed ho intuito che sarebbe venuto a piovere di lì a poco,
così sono andato a ripararmi sotto ad una pensilina dove già stavano
altre persone. Un uomo mi ha guardato con indifferenza, le sue mani
parlavano di lavoro, di necessità di fare, di utilità nei confronti
degli altri, ed ho avuto invidia di lui, così proteso verso qualcosa
sicuramente di importante, lo stringere a sé un compito che senz’altro
ne innalzava l’esistenza. Allora, visto che la pioggia non si decideva
ancora a cadere, mi sono spostato da quel luogo ed ho iniziato a
camminare tra la gente della strada, girando attorno alla piazza
antistante, anche per riflettere meglio su questi aspetti, ed entrando
alla fine dentro un caffè, giusto per incontrare qualcuno, una donna,
che probabilmente era già ad un tavolo ad attendermi.
Ci siamo
salutati, e per un po’ siamo rimasti seduti soltanto a guardarci e a
sorridere, davanti a noi qualcosa da bere a piccoli sorsi, e tra i
desideri probabilmente migliaia di momenti simili a quello, pur con la
consapevolezza che non si sarebbero mai verificati. Certe volte sono
perplessa, diceva lei: mi occupo di qualcosa rispondendo semplicemente a
degli automatismi, ma sempre più spesso da qualche tempo mi trovo a
criticare questo mio comportamento. Così mi prendono i dubbi, e alla
fine non so mai di che cosa sia meglio interessarsi, e di cosa invece
sia meglio non preoccuparsi affatto.
Io
continuavo ad ascoltare quelle sue parole, e comprendevo perfettamente
quale potesse essere il problema che la stava assillando. Non so, le
dicevo, però credo che per sopravvivere si debba essere maggiormente
ottimisti; e forse semplicemente evitare tutto ciò che non ci procura
almeno un minimo entusiasmo. Poi restavamo in silenzio, senza altre
parole a cui affidarsi. E Infine ci salutavamo sulla soglia del locale,
lei se ne andava dalla parte opposta di quella dove dovevo andare io, e
così tornavo a passi lenti verso la pensilina sotto alla quale c’erano
ancora molte persone. All’improvviso iniziava a piovere, dapprima senza
impegno, in seguito con maggiore intensità. Attendevo senza fretta
cercando con gli occhi l’uomo che avevo notato in precedenza, ma adesso
c’era soltanto una gran confusione di gente che cercava soltanto un
riparo, e nessuno, tra tutti coloro a cui mi sfioravo, che avrei
veramente voluto vedere.
La pioggia
si calmava alla fine, ed io prendevo la strada verso casa, ma sopra un
marciapiede incontravo di nuovo l’uomo che avevo visto poco prima:
adesso però sembrava serio, quasi corrucciato; fermo, guardava qualcosa
dalla parte opposta della strada, come forse avrei potuto fare io
stesso, ma probabilmente in assenza ormai di quello spirito positivo che
pareva emanasse dalla sua persona fino a poco fa, e come se ogni buona
impressione che avevo avuto di lui, si fosse in quel momento del tutto
dileguata. Gli andavo vicino, allora, lo salutavo sorridendo, gli
stringevo la mano senza neppure dargli una spiegazione del mio gesto,
forse solo dettato dal bisogno di far nascere di nuovo in mezzo alla sua
faccia quell’espressione da cui ero rimasto così colpito in precedenza.
E infine me ne andavo, deluso, come sempre.
Bruno Magnolfi
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