Si era subito vergognato del suo gesto poco maschile: colpire in quella
maniera la persona che lo aveva minacciato non era da lui, e così aveva
percorso quei pochi metri per uscire dalla zona più pericolosa per poi
voltarsi indietro, quasi a rendersi meglio conto di ciò che
effettivamente era accaduto. L’altro si era già rialzato, adesso
sembrava volesse guardarlo pur proseguendo a respirare con grande
affanno, e forse conservando nell’espressione una specie di
prolungamento dei suoi modi aggressivi, anche se in realtà faceva più
pena che altro. Enrico si era fermato, probabilmente volendo chiedergli
qualcosa magari usando un modo sprezzante: che cosa avesse creduto di
fare in quella maniera, per esempio; ma non gli era venuto in mente che
il suo comportamento potesse sembrare soltanto un modo per umiliare
l’avversario e cercare di stravincere.
L’altro, ancora piegato in avanti, con difficoltà aveva fatto
semplicemente un passo o due, infine aveva gettato a terra il coltello,
quasi in senso di resa, come volesse mostrare che era pienamente
consapevole della sua stupidaggine. Enrico aveva proseguito a guardarlo,
si era meglio reso conto della sua giovane età, dell’aspetto malmesso,
immaginando lo stato di miseria in cui versava la sua situazione.
Avrebbe voluto fare qualcosa piuttosto che andarsene via come dettava
una norma di prudenza, ma non era facile, non voleva neppure essere male
interpretato, e comunque non gli sembrava il caso di correre a quel
punto altri rischi. Così aveva proseguito a restare immobile, forse
sperando semplicemente che qualcun altro passasse da lì.
Alla fine si era mosso leggermente verso il ragazzo che adesso pareva
stringersi dentro le spalle, come se un attacco di febbre lo avesse
portato a provare dei brividi di freddo; gli aveva chiesto davvero che
cosa avesse creduto di fare, poi, a scanso di equivoci, gli aveva
chiarito che non aveva soldi o preziosi con sé, che quell’aggressione
era un assurdità. Mentre parlava però gli montava la rabbia, come una
semplice reazione al pericolo, e quasi per scandire bene le sue parole,
si era avvicinato ancora a quell’altro, fino a ritrovarsi ad una
distanza solo di un paio di metri. Il ragazzo stava ancora in silenzio,
il coltello distante, lo sguardo basso, quasi come a provare vergogna.
Era stato allora che Enrico gli aveva assestato il secondo calcio,
piazzandolo con tutte le forze che aveva, e stavolta non più per paura o
per allontanare un pericolo, ma per puro disprezzo, quasi un colpire
con il peggio di sé quello che all’improvviso gli pareva inaccettabile,
lontano, distante dai suoi modi e dalla sua vita. Il ragazzo era subito
caduto a terra, si era rotolato su di sé dal dolore, neppure tentando
una reazione, non accorgendosi neppure che il suo avversario era già
uscito dal suo campo visivo. Aveva soltanto sentito qualcuno ridere,
ormai in lontananza.
Bruno Magnolfi
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