domenica 6 febbraio 2011

Scena n. 15. Danza di corteggiamento.




La luce tagliente rischiara l’espressione di una ragazza acconciata e abbigliata come una prostituta, con la faccia sorridente e sicura di sé, il rossetto vistoso sopra la bocca, gli occhi appesantiti dal trucco. Resta seduta su una poltroncina, le sue gambe, accavallate sapientemente, emergono dalla gonna forse un po’ troppo corta, e le mani e le braccia, come anche le spalle, sembrano in posa, come se tutti dovessero forzatamente guardarla. Un uomo entra lentamente nella scena leggendo qualcosa, si accorge della ragazza ma non le concede più di un’occhiata, si ferma accanto ad un tavolo e legge ad alta voce alcune parole apparentemente poco adeguate:

Siamo esseri goffi, dice; cerchiamo di brillare all’interno di una cornice falsa e ammiccante. Eppure niente ci fa sentire migliori di altri se non il nostro essere arguti, furbi, capaci di trucchetti sagaci.

La ragazza si guarda le unghie smaltate, l’uomo appoggia i suoi fogli sul piano del tavolo e si siede, non c’è niente sopra quel palco che conceda un motivo di ottimismo, nulla che crei un vero collegamento tra quelle parole e l’immagine che si offre. La ragazza allora si alza, si guarda attorno con plastici movimenti studiati, va verso il tavolo, prende quei fogli appoggiati e con una intonazione profonda e concentrata prosegue quella lettura:

Ci sono momenti in cui tutto sembra in relazione con quanto si ha voglia di vedere, immaginare, sentire; eppure la verità è sempre lì, a portata di mano, anche se noi facciamo di tutto per neutralizzarla.

L’uomo osserva la ragazza con maggiore interesse: forse un collegamento è sempre possibile scoprirlo in mezzo alle cose, pensa, così attende che lei si senta guardata, per poter rendersi evidente ai suoi occhi. La ragazza aspira l’aria e guarda attorno a sé con un’espressione dubbiosa, come se qualche cosa si potesse incrinare all’interno delle sue certezze. Poi torna ad appoggiare quei fogli davanti agli occhi dell’uomo. Lui abbassa lo sguardo, riprende la frase dal punto, dice:

Niente sta qui senza che sia voluto; inutile dare ad altri la responsabilità delle cose, siamo colpevoli, nessuno ha voluto davvero che si dovesse accettare questo degrado.

I due adesso sono in piedi, si osservano, forse sarebbe meglio dire si studiano. La ragazza pare abbia accantonato i modi ricercati, e il suo sguardo è meno sicuro di sé. L’uomo forse ha vergogna nel mostrare di essere attratto da lei, eppure non la perde di vista, pur proseguendo nel cercare di ignorarla. Si muovono lentamente, sembrano attratti l’uno dall’altra, ma in qualche maniera ognuno di loro conserva la propria individualità. Assieme tornano al tavolo, prendono in mano quei fogli guardandosi per un momento a fondo negli occhi, poi leggono, seppure in silenzio:

Non siamo diversi, ci assomigliamo, ma solo aiutandoci potremo diventare migliori, e solo migliorando potremo pensare un giorno di avere vissuto davvero, oltre questo incubo individualistico.

Bruno Magnolfi

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