venerdì 6 maggio 2011

Un motivo per guarire.


Con lo sguardo basso, camminando con lentezza e scorrendo lungo gli interminabili corridoi dell’ospedale Policlinico, Lello, senza neppure avere in mente una meta precisa, lasciandosi sfiorare continuamente da parenti e amici che a quell’ora sono tutti in visita ai moltissimi ammalati che affollano i reparti, si sente confortato dall’idea che nessuno pare si preoccupi di lui. Si muove con circospezione, in ogni caso, soppesa ad ogni passo ogni dettaglio, evita di essere avvicinato da qualsiasi camice bianco che ogni tanto si trova ad incrociare, e se ne va avanti, senza neppure sapere verso dove, ma come muovendosi in una giungla infida, passando comunque in rassegna con attenzione i pericoli che incombono e le minacce che possono sussistere.

Non entra nelle camere, non gli piace vedere gli ammalati dentro ai letti, pallidi, sofferenti, spesso senza alcuna forza, lui si limita a pensare che ci sono, sono là, sotto alle coperte, a volte stanno ad occhi chiusi, in tanti casi parlano con qualcuno, cercano di sentirsi come gli altri, come quelli che sono lì, vicino a loro, però in piena salute. Scende le scale di servizio, Lello, sale sopra l’ascensore assieme ad altra gente, va a sedersi dentro una saletta, come molti, ma soltanto per un attimo, poi riprende instancabile con il suo girovagare silenzioso.

C’è una donna di cui si ricorda, Lello, e lui si sente consapevole che è il suo stesso viso quello che sta cercando adesso tra tutta quella gente, anche se forse non è neppure possibile che lei sia proprio lì, in quell’ospedale. Cecilia, ecco che ricorda anche il suo nome, una persona gentile, sorridente, che qualche tempo prima veniva a far visita a qualcuno che poi fu trasferito, un suo parente forse, e a volte lei lo incrociava, mentre Lello come al solito camminava lungo il corridoio, e gli chiedeva in certi casi qualcosa sulla sua salute, poi lo salutava in fretta, questo si, ma gli lasciava dentro alla memoria quel suo sguardo bello, comprensivo, che apparentemente durava solo un attimo, ma che per Lello proseguiva per dei giorni interi.

Qualcuno inizia già ad andarsene, l’orario delle visite sta quasi per finire, Lello si volta velocemente, prende l’ascensore e torna al piano terra, passa davanti alla portineria dove lo salutano, sembra proprio che tutti lo conoscano là dentro, anche se lui non risponde quasi mai. Poi, tramite un altro vasto corridoio, esce da quella clinica per rientrare nel reparto dove qualcuno lo sta già aspettando: sono queste le regole, il medico è stato persino troppo chiaro, soltanto un’ora per andare a muoversi in mezzo alle persone, non di più, poi Lello, come tutti lo chiamano in quell’ambiente, deve rientrare alla sezione chiusa, quella destinata agli psichiatrici.

Non lo sa il dottore che lui cerca Cecilia; crede che vada a girare dentro all’ospedale senza neppure avere un motivo preciso. Non importa, il dottore svolge il suo lavoro, probabilmente di tutto il resto non gli interessa neanche molto. Un giorno, tra tutta quella gente, Lello incontrerà la sua Cecilia, ne è più che sicuro, e sarà allora che correrà dal medico, e gli dirà che c’è riuscito, che è successo proprio quello per cui lui da tanti anni stava cercando di guarire: non importa se Cecilia lo avrà riconosciuto in quella confusione, per Lello sarà sufficiente averla vista, almeno un’altra volta.

Bruno Magnolfi

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