mercoledì 21 marzo 2012

Giorno di primavera.



Lei era rimasta in silenzio, osservava qualcosa fuori dalla finestra, lasciava che le parole dette fino ad allora esaurissero l’eco rimasto sul fondo dei suoi pensieri. Non aveva voglia di muoversi, quasi neppure di respirare, le pareva che qualsiasi anche impercettibile gesto potesse rendere più precario quel fondale di espressioni e di forzate verità messe assieme fino ad allora.

Lui, al tavolino, continuava a sfogliare un vecchio giornale, quasi per non dare importanza alle cose che erano state dette negli ultimi dieci minuti, in quella stanza. Che importa, pensava tra sé, tra poco l’abbraccerò e tutto si ripristinerà, nella stessa maniera di sempre, e anche questa, come qualsiasi altra discussione, diverrà, proprio come ogni volta, la benvenuta, ricostituente del nostro fondamentale equilibrio. Se ci pensava, non ricordava neanche più da cosa era stato generato quel battibecco: quello che gli aveva dato fastidio era quel vuoto seguente e improvviso di parole che adesso, ad ogni secondo, si faceva un po’ più opprimente. Certe volte era difficile parlare: le parole apparivano non soltanto inadeguate a veicolare il pensiero, ma addirittura in contrasto con quello, e ascoltarle uscire dalla propria gola, misurarne quella continua vibrazione spesso insopportabile, quasi un ingombro della testa e del corpo, pareva la peggiore tortura tra tutte quelle che era possibile auto infliggersi.

Lei rifletteva su quello che era appena stato detto, e le pareva sempre di più che fossero le medesime cose di sempre, quasi che una successione stregata di elementi fosse destinata a ripetersi, esattamente come lo stesso sottile male allo stomaco che era pronto a rifiorire ogni volta. Si era allontanata leggermente dalla finestra, lo aveva osservato per un attimo, poi aveva detto: non c’è neanche più alcuna soddisfazione nel parlare con te; ripeto da anni le medesime cose, e pare proprio non ti arrivino neppure, come se la tua indifferenza riuscisse ogni volta a mostrarsi superiore a qualsiasi altro elemento.

Lui, a queste parole, si era alzato dalla sua sedia, le era andato vicino, senza arrivare a toccarla, ed era rimasto lì, come a respirare la sua stessa aria, ad osservare qualcosa dalla finestra lì accanto, forse la stessa cosa che fino ad un attimo prima lei aveva osservato, quasi a cercare di avere gli stessi pensieri che parevano adesso così naturali nella sua mente. Se si chiedeva se tra di loro ci fosse ancora un sentimento d’amore, non sapeva rispondere, forse perché non era mai riuscito a chiarire dentro di sé il significato più vero di quella parola, o forse perché gli pareva che non ci fosse alcuna necessità di sottoporsi a domande del genere.

Lei, approfittando della sua vicinanza, aveva detto qualcosa sottovoce, quasi per confidargli un segreto.

Lui non aveva compreso perfettamente il senso di quella piccola frase, però gli era piaciuta quell’improvvisa intimità. Non sentiva il bisogno di dirle niente, così restava ancora in silenzio, scostando con la mano la tenda della finestra, e infine aveva sorriso, quasi a voler dimostrare di riuscire a comprendere ciò che lei aveva osservato là fuori, fino ad un attimo prima.

Lei, per un moto spontaneo, ebbe voglia di abbracciarlo, ma non lo fece, e d’un tratto ambedue si ritrovarono a guardarsi negli occhi, vicini, come una cosa del tutto naturale. Forse non c’è amore, pensarono insieme, ma certe volte l’intesa tra noi è comunque perfetta.

Bruno Magnolfi

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