Mi
rannicchio su un comodo sedile imbottito in fondo a questo vagone del
treno locale, ci sono pochi passeggeri a quest’ora, e ascolto con
attenzione il ritmo delle ruote che scorrono sopra ai binari, lasciando
che tutti i miei problemi volino fuori da qui assieme all’aria che
accarezza all’esterno le lamiere di metallo, le parti meccaniche, le
maniglie delle porte, il vetro dei finestrini. C’è persino qualcosa di
familiare in un luogo pubblico come questo, qualcosa che adesso mi pare
persino protettivo, anche se capisco perfettamente quanto il mio
comportamento si mantenga su un equilibrio un po’ precario, a cavallo
tra intimità e incomprensione.
Non so
neppure da cosa stia fuggendo davvero, sono salito qua sopra quasi senza
pensare: forse per un momento mi aveva attraversato soltanto la voglia
puerile di andarmene dai soliti luoghi di sempre. Via dalla città, ho
riflettuto, una corsa serale nella vasta provincia ad affrontare
qualcosa di nuovo, di diverso, ecco il ragionamento di base. Adesso
aspetto soltanto di avvistare la divisa del controllore, poi credo mi
chiuderò a chiave dentro la ritirata qui accanto, e scenderò di gran
corsa alla prima fermata del convoglio, quando il personale di servizio
apre le porte e va sul marciapiede, perché non ho alcun biglietto, non
ho valigia, non ho neppure i documenti personali, sono un niente, penso,
forse soltanto un fastidio.
Avrò
freddo più tardi, uscirò da una piccola stazione di paese e affronterò
una piazza qualsiasi, con due o tre persone che parlano e un caffè
ancora aperto, e camminerò in fretta, allora, come rincorrendo qualcosa
che neanche immagino, lasciandomi alle spalle la maggior parte possibile
di tutto, senza pormi alcuna domanda. Cadrò per la stanchezza in un
angolo, quando la notte si farà sentire di più, e chiuderò gli occhi
girando lo sguardo verso l’interno, ma non per cercare in me la
chiarezza, ma soltanto per ritrovare me stesso, almeno ancora una volta.
Domani, con la luce del giorno, qualcosa probabilmente accadrà, e
qualcuno forse si sentirà solidale con me.
Per adesso
il treno procede, sembra quasi sospeso nell’aria, poi frena
apparentemente con delicatezza, e qualcuno si avvicina dalla mia parte,
mi osserva senza insistenza, poi dice qualcosa che però non riesco a
comprendere. Sono sporco, immagino, ho la faccia scura e la barba di
cinque o sei giorni, chiunque guardandomi riesce a capire di quale
categoria io sia parte. Poi rifletto più a fondo: no, non lo so quale
sia la stazione prossima, anzi non ne ho la minima idea, non so neppure
verso dove ci stiamo realmente dirigendo. L’uomo di fronte a me mi
regala un’altra semplice occhiata, poi guarda il tabellone in alto che
indica tutto il tragitto.
Torno a
rannicchiarmi proprio come prima, ma adesso la mia intimità se n’è
andata, così cerco qualcosa dentro una delle tasche di questa giacca
bisunta, ma non trovo niente. L’uomo si volta, torna indietro lungo il
corridoio colorato, il treno sta per fermarsi, guardo in giro se per
caso ci fosse il controllore, ma all’improvviso sento di essere solo,
forse come mai mi sono sentito. Siamo fermi, le porte pneumatiche
scorrono, scendo sul marciapiede, sotto la pensilina, e dietro di me c’è
ancora quell’uomo. Non si preoccupi, mi dice, questa è la stazione di
un paese accogliente.
Bruno Magnolfi
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