Montemerani era rimasto in silenzio mentre lo specialista di malattie
neurologiche scorreva con attenzione quei venti o trenta fogli in cui
erano state vergate da altri suoi colleghi le caratteristiche della sua
poco comprensibile patologia. Provava una leggera tensione restando
seduto davanti a quella scrivania, ma i suoi familiari, che tanto
avevano insistito per quell’ennesimo consulto, erano riusciti a
spingerlo fin lì nonostante il forte sospetto che anche in questo caso
si sarebbe fatto un altro buco nell’acqua, e nulla di buono, con molta
probabilità, anche stavolta ne sarebbe uscito fuori.
Lei, signor Montemerani, come si classificherebbe, gli aveva chiesto di
punto in bianco, dopo parecchi minuti, il luminare, dandogli una veloce
occhiata e ritornando, in attesa di risposta, a ripassare di nuovo
quelle carte che continuava ad avere tra le mani. Dopo, era trascorsa
una pesante pausa di silenzio, forse quasi più lunga di quello che
appariva necessario, e in quella fase lui come ammalato aveva cercato di
raccogliere quasi tutte le proprie idee, concentrandosi sulla risposta
che era meglio fornire a quest’altro rompiscatole blasonato, pur
sfuggendogli, e con un certo dispiacere, il senso proprio di una domanda
di quel genere.
Non aveva mai pensato prima di allora di doversi ascrivere ad una
qualche categoria di persone o addirittura di ammalati, di ritrovarsi ad
etichettare se stesso come facente parte di una certa schiera,
individui probabilmente tutti simili tra loro, come immaginava,
riconoscibili magari per certe caratteristiche o per evidenti
particolarità, quasi una serie di oscure figure magari a lui
semplicemente estranee, ma che all’improvviso, nella sua fantasia,
parevano voltare la faccia tutti assieme, e lui con loro, per mostrare
un’espressione praticamente identica, o addirittura evidenziando quasi
una sottile maschera sul volto, ognuna uguale all’altra.
Continuava ancora a pensare, il Montemerani, quando l’altro alzava lo
sguardo indagatore su di lui, quasi a rendersi conto effettivamente di
quanto tempo avesse necessità quel paziente antipatico a rispondere.
Allora lui, praticamente per reazione, affondava d’improvviso il suo
sguardo solitamente sfuggente, fino oltre quegli occhiali insulsi
cerchiati d’oro che aveva di fronte, e biascicava sottovoce quanto in
genere si sentisse semplicemente estraneo a tutto quanto. Il medico
proseguiva a guardarlo senza assumere un’espressione definibile, forse
addirittura cercando di mostrare la sua incredulità a quelle parole, e
infine insisteva: estraneo, in quale senso? Faccia un esempio della sua
giornata tipo, Montemerani, cerchi di farmi comprendere meglio il suo
pensiero.
Lui si prendeva così ancora del tempo, ma adesso si sentiva persino
alleggerito, avendo con questa uscita già detto molto di se stesso,
secondo i suoi parametri. All’improvviso si sentiva soddisfatto di
essere riuscito ad aggirare l’ostacolo in quel modo, tanto da ritrovarsi
una piccola dose di coraggio aggiuntivo, e mormorare con semplicità:
per me essere qui o in un altro luogo, praticamente, è la medesima cosa.
L’altro faceva scricchiolare le carte, quasi a cercare di comprendere
se quel paziente avesse veramente voglia di guarire o no dalle sue
piccole manie, ma proprio in quell’attimo Montemerani, ormai a suo agio,
si alzava dalla sedia, accomodava sopra la sua faccia un debolissimo
sorriso, e in un attimo si voltava per raggiungere la porta dello studio
e quindi andarsene.
Dove va, gli aveva chiesto quasi incredulo ai propri occhi, pur dietro i
suoi occhiali, il professore; ma Montemerani a quel punto non si
degnava neppure di rispondergli, e ormai raggiunta la porta e scivolato
dentro al corridoio di quella clinica, semplicemente alzava un po’ di
più le spalle, lasciando dietro a sé l’interezza di quei dubbi che aveva
sparso anche sopra la scrivania del luminare, sollevato per essere
riuscito perfettamente, anche in questo caso, a confermarli tutti.
Bruno Magnolfi
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