Bruno Magnolfi
sabato 1 ottobre 2011
Il pianto di gioia
Camminare per strada, mettermi seduto su una panchina del giardinetto del mio quartiere, sfogliando un giornale giusto per occupare gli occhi e la mente, e far trascorrere il tempo. Tornare a casa, dopo il lavoro, accendere la radio sul mobile, compiere i soliti gesti di rito, pressappoco con i medesimi orari, quasi ad osservare delle direttive precise, e lasciar trascorrere il tempo. Scendere certe volte giù al bar a scambiare qualche parola con le conoscenze di sempre, ragazzi che giocano a carte, che si prendono in giro e che ridono, passare la serata a guardarli, e farmi fare un caffè dal barista, proprio per conservare quell’aura di cliente dentro al locale, e lasciare che il tempo trascorra. Questi i miei giorni, le mie settimane, gli anni che passano, come un percorso da compiere, e basta; ma qualcosa di differente si è inserito in mezzo a quei giorni, a quel tempo indolente. Una bella ragazza la Laura, abita in fondo alla strada, a volte ci siamo incontrati, ma non l’ho mai salutata, forse per timidezza, forse perché nessuno ci ha mai presentati. Ma ieri, dentro al negozio di generi alimentari, le è caduto qualcosa mentre ero lì, un foglietto di carta, una cosa da niente, ma io l’ho immediatamente raccolto, lei è arrossita e mi ha ringraziato. “E’ solo la lista delle cose che devo acquistare…”, ha aggiunto con voce piacevole, ed io, non so come, le ho detto, mentre uscivamo assieme da dentro al negozio: “Potrei accompagnarti, ti va?...”. Lei ha fatto segno di si con il capo, mentre sistemava la borsa, poi lentamente ci siamo avviati sul marciapiede. Le ho detto che sono triste in questo periodo, che a volte le giornate mi sembrano lunghe, che sono stufo di far trascorrere il tempo senza che questo comportamento mi dia nello scambio qualcosa per cui sentirmi contento. Le ho detto che credo di essere un ragazzo qualsiasi, come tutti, però mi sento sempre da solo, anche quando sono in mezzo alla gente. Certe volte ho invidia di chi si diverte, le ho detto; non so cosa abbiano di diverso da me quelli che ridono tanto, però qualche volta mi manca quel loro sentirsi leggeri, sereni. Lei ha guardato quasi sempre diritto, avanti ai suoi piedi sul marciapiede, ha fatto cenno di si con la testa, ha detto che mi comprendeva benissimo, che anche lei certe volte si sentiva nella stessa maniera. “Non so cosa manca nella mia vita”, le ho detto, “ma questa mancanza è così forte da annullare anche il resto, come se quello che ho perdesse di senso al confronto”. Poi Laura era arrivata, ci siamo fermati davanti al portone, le ho detto che mi aveva fatto tanto piacere parlare con lei, e lei mi ha risposto che dovevamo ancora parlare, faceva bene parlare, che avevamo iniziato un dialogo, una cosa importante, dovevamo vederci il giorno seguente, ai giardinetti, quelli dove io certe volte andavo da solo a sfogliare il giornale. Andava bene, era tutto perfetto, non c’era da aggiungere altro. L’ho salutata, poi ho quasi trattenuto il respiro. Un giorno intero è trascorso così, senza che io mi fossi accorto di niente: mi sono messo seduto a quei giardinetti, nel pomeriggio, come d’accordo, sopra la panchina di sempre, ho guardato gli alberi spogli, mi sono reso conto di sentirmi ancora più triste di quello che avevo creduto, e che l’unica cosa che adesso mi sollevava lo spirito era lei, sapere che Laura stava arrivando. Poi ho visto da lontano la sagoma, ho riconosciuto il suo passo, mi sono sistemato ancora meglio sopra quella panchina, ho cercato di assumere un’espressione che le facesse piacere vedere, e lei è arrivata davvero, si è fermata lì, davanti ai miei piedi, con il suo viso dolcissimo, ed io, proprio come un cretino, non ho saputo trattenere le lacrime.
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