lunedì 24 ottobre 2011

Gli amanti della fine del Giorno (seconda parte)



La casa sul lago appariva immobile, solo leggermente tremolante nei suoi contorni dentro al riflesso dell’acqua. Da lontano pareva appoggiata proprio alla fine della collina sovrastante, dentro a uno spiazzo orizzontale inventato dalla natura proprio per lei, come a lasciare un luogo di vedetta da cui ammirare quella natura. L’ultimo tratto di strada era tutto malandato e sconnesso, ma quando si riusciva a fermarsi e a spegnere il motore dell’auto sul piccolo piazzale dietro alla casa di selce, immediatamente arrivava un silenzio e una pace che giustificavano qualsiasi sacrificio per arrivare fin lì. Il bosco attorno allo spiazzo che racchiudeva la casa era tutto costituito da alberi adulti, giganteschi con quei tronchi spesso diritti, su verso il cielo, a troneggiare sul tetto, la loggia di fianco, la grande terrazza appoggiata sull’acqua, quasi a rimpicciolire i contorni di tutto ciò che costituiva quella abitazione isolata, frutto di una scommessa col mondo: restarsene separata da tutto. Pensare di dare una festa, o attirare persone fin lì senza una motivazione precisa superiore ai comportamenti mondani, era impensabile: troppo lontano da tutto, quel luogo, troppo isolato, forse troppo romantico se non per stare due o tre giorni nel silenzio completo a leggere libri, a parlare sottovoce, a gustare un silenzio irreale. Si erano ritrovati in diversi quel giorno, consapevoli di quello che avrebbero scoperto arrivando alla casa, tutti ragazze e ragazzi, uomini e donne, conoscenti ed amici, in tutto dieci persone, che avevano preso in affitto quel posto per riunirsi in un modo un po’ insolito, e restarsene lontani da ogni altra cosa forse per indagare entro se stessi, allontanare dalla mente la noia borghese di sempre, e lasciare che il pensiero assumesse una forma diversa, qualcosa che desse la misura negativa della evanescente quotidianità. Avevano preso una sedia ciascuno, senza neanche suggerirselo a vicenda, e si erano piazzati sopra la grande terrazza, quasi senza parlare, solo assumendo punti di vista e posizioni diverse per osservare con calma l’acqua del lago. Il sole rosseggiava su un fianco, ed il lago riproduceva il profilo della collina di fronte raddoppiandone la maestosità e la leggerezza, tracciandone un’impercettibile linea laggiù, sull’altra riva. Ci sarebbe voluta probabilmente un’altra ora al tramonto, e quei raggi scaldavano ancora ogni superficie in modo piacevole, fiammeggiando i colori in un modo sublime, mescolandoli ad un fondo pieno e maturo. Non c’era bisogno di pensare ad un futuro oltre quell’ora: tutto in un attimo si sarebbe spento nella vallata, dopo quel breve tempo, e il mondo avrebbe capovolto se stesso proiettando ogni cosa in un suo aleatorio rovescio. Piero era contento di esser riuscito a trascinare tutti fin lì, di aver riunito quelle persone in quel luogo convincendoli soltanto con poche parole, con la sua capacità di far immedesimare gli altri nelle sue fantasie, ma aveva desiderato tanto quello che relativamente con facilità aveva ottenuto, che adesso non sapeva del tutto cosa aspettarsi dalla situazione creata. All’improvviso quel silenzio gli metteva paura, sembrava che i pensieri di tutti agissero come a formare qualcosa di cui ognuno non fosse cosciente. Lui avvertiva quella vibrazione che univa le menti e ne moltiplicava ogni potenzialità, e mentre il sole cadeva oltre quell’orizzonte, pareva che un potere diverso assumesse i contorni del loro riunirsi, come una forza che sfuggisse al loro controllo per andare a scagliarsi chissà contro chi, o contro cosa. Lentamente, alle spalle di tutti, si era alzato dalla sua sedia, era scivolato verso la casa mentre il sole moriva, e subito prima di entrare si era voltato ancora, impaurito, dalla parte degli altri che erano rimasti lì, immobili. Era stato allora che tutti si erano girati a guardarlo, come se lui fosse diverso, come se lui fosse una persona lontana dagli altri, come se loro avessero assunto all’improvviso un potere comune di cui Piero era immune, e in funzione di questo, adesso lui appariva da solo, terribilmente da solo.

Bruno Magnolfi

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