domenica 2 ottobre 2011

Nel senso delle cose.



Il loro solito percorso prevedeva il passaggio vicino ad una casa, una vecchia abitazione di campagna ormai in disuso, dove da chissà quanti anni non abitava più nessuno, ma che in qualche modo, almeno a giudicare dal di fuori, conservava il fascino di una costruzione ancora viva, seriosa, quasi autoritaria nel dominare gli spazi e il verde attorno. Non c’era niente di particolare nei pressi di tutto quello spiazzo, se non quel viottolo serpeggiante che girava poco lontano dalla casa fino ad arrivare, un chilometro più avanti, a costeggiare un piccolo fiume insieme agli alberi e ai cespugli spontanei, pieni di vento di verde e di grandi foglie ombrose.

I ragazzi, dopo la scuola, certe volte trascorrevano lì un’ora o due parlando sottovoce, seduti nel fresco e nella calma, cercando con lo sguardo qualche pesce guizzante tra le pietre e a tirare sulla superficie dell’acqua qualche sasso, per poi tornare indietro, verso il paese, ripassando lentamente davanti a quella casa con le imposte sempre sprangate, immaginandosi gli interni: l’acquaio di granito, i pavimenti di mattoni, il camino grande con le panche ai lati, e forse nell’aria un odore di fumo ancora forte. Tornavano verso le loro case senza dirsi niente, quasi in silenzio, ma come conservando un sottinteso che non riuscivano a spiegarsi.

Quando decisero, in un giorno come gli altri, tutti e quattro quanti erano, di sfondare la porta e di entrare dentro a quella casa, era come se le parole per l’accordo fossero la normale prosecuzione dei loro pensieri di sempre, come fosse in fondo una cosa già decisa, ormai quasi naturale. Lo fecero cercando di darsi coraggio l’uno all’altro, e forse non ne avevano davvero neanche bisogno, ma andarono avanti senza alcun ripensamento, con le torce che si erano portati dietro per scrutare con minuzia ogni particolare, e con gli occhi aperti, di chi sa che ci sarà solo una volta per rendersi conto delle cose, aspettando il tramonto, quando forse certi gesti, chissà perché, diventano possibili.

Nessuno di loro rimase all’esterno, dovevano tutti essere coinvolti ad armi pari in quell’impresa, e si ritrovarono là dentro, in quelle stanze completamente vuote, senza neppure sapere bene cosa fare. Girarono con circospezione da ogni parte, salirono al piano superiore lasciando chiusi gli scuri quasi per paura di cambiare l’assetto ormai assegnato a quella casa, poi, parlando tra loro sottovoce, dissero che non c’era niente, anche se non ne erano proprio convinti, ma allora tutti insieme decisero di andarsene. Fu in quel momento che notarono qualcosa, un piccolo quadro rimasto appeso, unico oggetto, su una parete d’angolo lungo il corridoio. Fecero luce con circospezione, si avvicinarono quanto era possibile, ma il vetro fece specchio e li confuse, poi infine videro l’immagine.

Pareva quasi una fotografia, ma era un disegno sbiadito fatto con una matita: dei ragazzi che si guardavano tra loro sotto a un albero, come se attendessero qualcosa, quasi che chi aveva voluto disegnarli, li avesse sorpresi in pose strane, con espressioni insolite e curiose. Avrebbero potuto essere addirittura loro stessi, pensarono le loro menti sveglie: trovarono addirittura delle somiglianze, e se si guardava bene, sullo sfondo del disegno, c’era anche una casa che poteva essere benissimo quella dove adesso si trovavano, e di tutta quella riflessione provarono paura. Uno di loro disse che voleva andarsene, gli altri annuirono, così in un attimo si ritrovarono sopra lo spiazzo esterno con una gran voglia di tornarsene in paese e alle strade conosciute. Non dissero mai niente a nessuno di tutta quella storia, e soprattutto di quel quadro, ma non dimenticarono mai niente di quello strano pomeriggio, e forse dentro quel quadro sentirono di entrarci veramente, anche se non subito: forse ci si ritrovarono con calma, quasi per un gioco della mente, un giorno o quello seguente, un anno oppure un altro, poco per volta, senza alcun forzatura; prima o dopo, come una conseguenza naturale, praticamente inevitabile.

Bruno Magnolfi.

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