Immobile, sdraiato nel buio, con gli occhi aperti, ho cercato di riflettere sulle mie difficoltà, senza peraltro riuscire neanche a comprenderle. Poi ho lasciato che le nuvole scorressero lentamente da una zona all’altra della mia fantasia. Ho immaginato, ancora una volta, che tutto fosse ancora da definire, non rendendomi conto che probabilmente proseguivo a sbagliare. Qualcuno ha detto il mio nome, chissà da dove, e a me è parso sorprendente che ci fosse almeno una persona che lo ricordasse. Così mi sono sollevato, ho guardato attorno, indossato una camicia, la giacca, e infine sono uscito dalla casa.
Fuori, la sensazione più forte era che tutti mi stessero osservando, non tanto per delle caratteristiche visive del mio apparire, quanto per un elemento di peculiarità che forse veniva da alcuni riconosciuto addosso a me come proprio. Mi hanno fermato per strada, mi è stato chiesto un autografo, hanno stretto più volte la mia mano, si sono congratulati per le mie capacità, ed io mi sono schernito, mi sentivo piccolo, insignificante di fronte ai superlativi che pareva volessero usare tutti nei miei confronti. In questo modo sono arrivato fino alla piazza principale del quartiere dove abito, e sopra un manifesto enorme c’era il mio nome, la mia faccia impegnata in una delle espressioni migliori che abbia mai assunto.
Va bene, ho pensato, è tutto a posto, non c’è bisogno d’altro, devo semplicemente cercare di stare al’altezza della situazione. Quando sono rientrato mi girava leggermente la testa. Sono tornato a sdraiarmi, vestito com’ero, al buio, ed ho pensato che avrei tanto voluto vedere il cielo azzurro e limpido, sgombro da quelle nuvole che continuavano a rincorrersi da una zona all’altra, e sono rimasto lì, senza aspettarmi niente di diverso. Poi, mi sono addormentato.
Bruno Magnolfi
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