Era uscito
dal locale quasi con stizza. Aveva perduto a carte, anche se questo in
fondo non era particolarmente importante. Però non era riuscito ad
essere il giocatore di sempre, spiritoso, brillante, di compagnia. Si
era lasciato andare anche ad un piccolo sfogo contro la sfortuna che
secondo il suo parere lo aveva perseguitato per tutta la sera, e questo
non era da lui.
Così era
uscito dal circolino con l’impellente necessità di starsene solo, ma
quel nervosismo che aveva accumulato lo faceva ancora star male. Perciò
si era incamminato verso la stazione ferroviaria, giusto per guardare
qualche treno in partenza e prendersi un caffè in quel bar quasi
anonimo, in mezzo a qualche faccia che probabilmente non aveva mai
visto.
Ma alla
fine si era ritrovato ad osservare la parte lucida dei binari, ad essere
stanco senza il coraggio di tornarsene a casa, e ad avere sonno senza
la possibilità di andare a dormire. Un barbone gli si era avvicinato
senza neppure chiedergli niente, e lui aveva sopportato con indifferenza
quella presenza, senza la volontà di allontanarsi o di dire qualcosa.
Poi era
arrivato un treno locale, fermandosi con un certo stridore dei freni,
qualche passeggero era sceso dai vagoni e lui era rimasto ancora quasi
impassibile. Non c’era alcun senso in ciò che stava pensando, eppure non
riusciva neppure a riflettere qualcosa di minimamente diverso.
Osservava gli sportelli aperti di quel convoglio come una possibilità di
fuga da tutto, repentina, irrazionale, inspiegabile, e questa era
l’unica idea che riusciva ad avere.
Infine il
barbone all’improvviso gli aveva chiesto sottovoce dei soldi, come se
ognuno prima o dopo dovesse pur fare la propria parte: prima che parta,
aveva detto, me lo lascia uno spicciolo? Ma lui lo aveva guardato a
lungo senza rispondere, quasi incantato; e infine, come lasciando
affiorare alle labbra un pensiero sofferto, aveva detto semplicemente:
mi dispiace, in tasca ho soltanto il biglietto del treno, nient’altro; e
con queste parole era salito senza più indugi.
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