Allungo
una mano nel buio insonne della mia camera. Avverto il vuoto, e l’aria
ferma, assieme a quel senso di protezione e di silenzio dato dalle
pareti mentre racchiudono lo spazio finito di questa stanza. Mi metto
seduto sul bordo del letto, non mi interessa neppure sapere che ore
siano, mi basta immaginarmi sperduto come sono tra i sogni e il riposo
di tutta la gente che abita questa città. Vorrei spingermi fino ad una
finestra, osservare dai vetri la strada vuota rischiarata da qualche
lampione, ma non lo faccio, resto qui a pensare al miglior comportamento
da seguire appena si sarà fatto giorno.
Sono una
persona comune, penso; uno qualsiasi che persegue una lotta di
sopravvivenza per riuscire a conservare se stesso; uno come tutti, un
altro tra coloro che si ritengono capaci di avere ancora pensieri
propri. Non voglio però sentirmi in balia della solita angoscia di cui
soffrono gli altri, voglio reagire, immaginarmi qualcosa di diverso per
la giornata che vado ad affrontare, magari sentirmi capace di riflettere
a fondo sui gesti e le espressioni che mi appaiono di fronte, quali
elementi da interpretare ed a cui almeno provare a dare un significato.
Resto
seduto sul letto, nel buio, ma immagino la stanza, non riuscendo a
vederla, molto più grande di quanto lo sia veramente, e mi sento quasi
sperduto in questa specie di capannone industriale dove è stato
collocato per me questo giaciglio. L’aria adesso sa di lavoro, di
persone che affrontano dei sacrifici, di gesti consuetudinari portati
avanti nella ricerca di qualcosa che almeno sia di sollievo a questo
niente di cui siamo fatti. Osservo il procedere delle cose che mi
circondano, tutto mi sembra un assurdo, tanto vale distogliere la mente
da questi pensieri.
Vado alla
finestra, la apro, lascio che il freddo mi punga la pelle, ma ancora non
riesco a sentire la solidarietà che vorrei manifestare verso tutti
coloro che avverto in tutte le case che ho intorno. Mi vesto, scendo per
strada, mi pare che adesso tutto sia vivo, che attenda soltanto il
momento in cui l’ingranaggio riparte, che la macchina ritrovi il suo
moto. Corro, mi metto ad urlare lungo la via come fossi uscito
completamente di senno. Nessuno mi ferma, vado avanti a sentire il
freddo della notte sopra la faccia, sento la disperazione farsi largo
nella mia testa. Infine mi fermo, mi accuccio per terra, spossato:
spesso la realtà è incomprensibile, penso; adesso mi sento figlio di
questa incomprensibilità, e anche di tutta questa follia.
Bruno Magnolfi
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