Ero entrato nel piccolo appartamento alle spalle di quella signora che
neppure conoscevo, ma alla quale avevo spiegato, con poche parole
pronunciate sottovoce sulla porta, di essere un amico del figlio, e di
avere notizie di lui. Ristagnava un vago odore di minestra nell’aria, e
forse di chiuso e di mobili vecchi. Ero stato fatto sedere presso il
tavolo del salottino, e la signora, in piedi, tenendosi le mani, mi
aveva presentato rapidamente a sua figlia, una ragazza non bella e forse
timida, che era rimasta in disparte e in silenzio, alzando appena il
suo sguardo giusto un momento.
Avevo spiegato con poche parole di non essere propriamente un amico, ma
anzi di avere conosciuto Armando solo nell’arco di due o tre giorni,
quando casualmente ci eravamo ritrovati insieme, a fronteggiare una
situazione complessa quale quella di sopravvivere in qualche maniera in
una terra straniera. Per me era stata solo una condizione momentanea,
dicevo, ma lui non aveva più documenti, e per questo motivo mi aveva
spiegato che non poteva arrischiarsi a varcare il confine e rientrare
nella sua patria; e d’altra parte neppure cercare un lavoro era qualcosa
in cui potesse facilmente confidare. Così stava vivendo alla giornata,
spiegavo alle due donne, senza più un soldo né un indirizzo a cui farsi
spedire un aiuto da voi o da chiunque altro.
La signora sembrava comprendere perfettamente le mie parole, anzi,
sembrava che fosse già preparata ad un rapporto del genere, tanto che
fermò ad un tratto le mie parole giusto per chiedermi di quale città si
stesse parlando e in che situazione fisica avevo trovato il suo Armando.
Dissi che lui stava bene, almeno in apparenza, soltanto cercava di non
dare troppo nell’occhio, e quindi si spostava continuamente, tanto da
non permettermi di sapere con esattezza se attualmente fosse ancora
nello stesso luogo in cui lo avevo lasciato, oppure no. In ogni caso è
una persona che sa cavarsela, dissi con forza, sicuramente troverà la
maniera di uscire da quella situazione.
La signora era rimasta in silenzio sulle mie ultime parole, tanto che
per uscire da quell’aria di imbarazzo che pareva aleggiare, stavo per
alzarmi e prendere congedo da lei e da sua figlia, quando quest’ultima
disse qualcosa, come parlando tra sé: voglio andare da lui, spiegò con
una smorfia del viso; ho bisogno di vederlo di persona, o almeno di
andare a cercarlo, anche se ho capito che non sarà facile. Dissi in due
parole che era una faccenda complicata e pericolosa, che sconsigliavo
vivamente, ma lei insisteva, quasi come una ripicca, o forse un proprio
bisogno di staccarsi per un po’ di tempo da quella casa. In ogni caso
spiegai con precisione dove avevo lasciato Armando l’ultima volta che lo
avevo veduto, per il resto, dissi, ci vuole soltanto un po’ di fortuna.
Quindi mi alzai, mi accorsi che la signora stava rigidamente in
silenzio, come conservando una grande dignità, e ugualmente mi
accompagnò verso la porta senza aggiungere una sola parola. La figlia,
al contrario di ogni mia aspettativa, iniziò a dire che in quella casa
c’era bisogno di Armando, che lei lo doveva trovare, che non poteva
esserci nessuna soluzione diversa, quello era il suo compito, quella la
missione a cui era chiamata. La signora mi guardò un momento negli occhi
come a spiegare con uno sguardo ciò che non poteva con le parole, io le
strinsi la mano ed uscii, ma fu mentre scendevo le scale che sentii
urlare: lo amo, è un amico di Armando, voglio dedicargli la vita,
andremo insieme a trovare mio fratello, lui saprà dove dirigersi.
Raggiunsi la strada allontanandomi velocemente da lì, poi, più tardi,
quando mi ritrovai con Armando, gli dissi soltanto che le cose che mi
aveva precedentemente fatto presente, purtroppo non sembravano affatto
cambiate.
Bruno Magnolfi
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