Consultando con attenzione la pianta, apparentemente le cose sembrano
tutte al loro giusto posto. Eugenio immagina le persone che passeggiano
lungo le strade, le famiglie rannicchiate nei propri alloggi, i
capannoni industriali dove macchinari rumorosi vengono seguiti
dall’occhio attento degli addetti ai lavori. Le automobili scorrono
lungo l’asfalto, i treni muovono dalla stazione come nei giochi dei
ragazzi degli anni sessanta. Eppure Eugenio pensa che sia tutto inutile,
anzi assurdo, come se quello fosse soltanto un mondo immobile, privo
ormai della spinta iniziale, dell’abbrivio che fa girare il mondo
costantemente.
Le zone
della città sono riconoscibili e caratterizzate da qualcosa di evidente,
ma alla fine tutto appare omogeneo: uguali aspirazioni, medesimi
pensieri, discorsi di sempre fatti e rifatti inserendo ogni volta
qualsiasi variante possibile. L’immagine è quella di un gatto che
lentamente attraversa una strada deserta dell’agglomerato di case dove
non succederà nulla.
Poi
Eugenio piega la carta, si alza, esce di casa, proprio per andare a
rendersi conto di quello che è rimasto là fuori, se ci siano ancora i
discorsi, i sorrisi, le idee: la volontà. Lungo la strada si avverte una
presenza di polvere, le auto si muovono, le persone passeggiano. Entra
in un negozio per comprare qualcosa, ma si sente del tutto fuori posto,
come essersi spinto già troppo oltre quella quotidianità che fa da
collante dei gesti e degli atteggiamenti degli altri. La donna dietro al
banco gli chiede che cosa desideri, lui osserva in giro alcuni scaffali
con sopra i prodotti, indica qualcosa ma senza alcun convincimento. Lei
esce da dietro la sua postazione, gli dice qualcosa con evidente
gentilezza, Eugenio cerca di seguirne tutti i gesti e le parole di
spiegazione.
Accetta il
flacone che la donna gli porge, si fa dire ancora qualcosa, infine tira
fuori dei soldi e paga il prezzo che la negoziante gli chiede. Vorrebbe
uscire da lì, ma crede di non avere del tutto compreso alcune
motivazioni, osserva ancora la confezione del prodotto che ha tra le
mani, chiede con ingenuità se può cambiarlo nel caso non sia esattamente
ciò che si aspetti. La donna lo guarda, finisce di comprendere che c’è
qualcosa che non è a posto nella persona di fronte a lei, così con
grande amabilità dice soltanto: è semplicemente una schiuma da barba,
Eugenio; al momento che l’hai usata non puoi più sostituirla, e d’altra
parte le altre marche non sono molto differenti, il principio con cui
sono state confezionate è sempre il medesimo.
Eugenio
annuisce, sa che la donna ha ragione, che lui cerca soltanto di inserire
il dubbio all’interno di cose che appaiono scontate, nient’altro.
Infine muove per uscire da dentro al negozio, saluta la donna, apre la
porta vetrata, ma sulla soglia si ferma, si gira, dice in fretta che c’è
qualcosa di cui non è affatto convinto, ma al momento non sa cosa sia.
Poi si ritrova da solo sul marciapiede, ha adempiuto completamente ai
suoi compiti principali, pensa, può tornarsene tranquillamente alla sua
abitazione, e forse sentirsi bene, proprio come tutti.
Bruno Magnolfi
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