lunedì 14 marzo 2011

L'arrivo imminente.


L'arrivo imminente.

Clelia lo aspettava, sapeva che lui sarebbe arrivato prima o poi, non era possibile tardasse ancora più a lungo, lei lo sapeva perfettamente, lo sentiva dentro di sé, sarebbe arrivato da un attimo all’altro, senza alcun preannuncio, come se la sua comparsa fosse l’evento più naturale di tutte le cose che sarebbero potute accadere. Aveva riflettuto a lungo su quegli ultimi avvenimenti, Clelia, aveva continuato a pensare ogni particolare di quell’ultimo paio di giorni, dando una spiegazione del tutto logica a ogni dettaglio, come se quegli accadimenti fossero stati aspetti ordinari della loro esistenza, come qualsiasi altro avvenimento delle giornate che si susseguivano, ed adesso si sentiva perfettamente convinta e a proprio agio con quelle semplici concezioni che era riuscita con determinazione a mettere a fuoco.

Addirittura, all’inizio, quando aveva capito, appena si era convinta dell’arrivo imminente di lui, era corsa dietro ai vetri della finestra con profonda sicurezza, col viso ridente, ed era rimasta lì, ad osservare la strada nell’attesa e nella certezza di vederlo arrivare, come tante altre volte in quei quattro anni era successo, e appoggiata agli infissi si era sentita bene, a suo agio, nel guardare le persone di quel quartiere che si fermavano a parlare tra loro lungo i marciapiedi, e a scambiare qualche opinione, a dirsi qualcosa che magari non aveva neppure troppa importanza, e che invece, in qualche maniera, appariva per quella frazione di tempo così fondamentale, come tutte le piccolezze che compongono qualunque giornata. Poi però si era scossa: non voleva farsi trovare da lui in quella posizione, e così era andata a sedersi accanto al tavolo, iniziando a giocherellare con la tovaglietta merlettata, e continuando a pensare a tutto quanto, sempre accompagnata dalla sua grande fiducia.

Era già successo qualche altra volta a Clelia: aveva così tanto desiderato di vederlo arrivare all’improvviso, lo aveva così tanto pensato nella profondità di se stessa, che alla fine lui era arrivato davvero, quasi materializzandosi, come richiamato dalla telepatia che lei era quasi convinta di possedere dentro di sé, come se quella unione fosse un elemento inciso nella natura delle loro cose, e di cui non doversi mai meravigliare, in qualsiasi caso. Certo, stavolta forse era diverso, lui aveva detto del loro rapporto parole irripetibili e quasi definitive che probabilmente non avrebbero dovuto lasciarle molte speranze, se non fosse stato che Clelia, ripensando a quegli ultimi tempi, si era resa subito conto di non aver compreso bene alcune cose, e di non aver parlato a lui delle variazioni nelle sue idee e di quei desideri che era riuscita da poco a comporre. Ecco, soprattutto questo le pareva l’elemento fondamentale di adesso: com’era possibile che lui da quasi tre giorni non sentisse l’esigenza di parlarle, di scambiare i suoi pensieri con lei come sempre era accaduto, di sapere cosa stesse facendo, di chiederle quale fosse il suo stato d’animo attuale?

Avevano scambiato tutto in quei quattro anni, pensava adesso Clelia, non era possibile interrompere di colpo qualcosa che in loro aveva sempre agito in modo così naturale, quasi come un automatismo, rispondendo però ad una invidiabile sincera spontaneità. E poi, il loro parlare di futuro, quel sognare quasi ad occhi aperti su tutto ciò che di bello avrebbe senz’altro dovuto accadere a loro due, non poteva certo interrompersi in quella maniera. No, lui stava arrivando, Clelia lo sapeva, era proprio come tutte le altre volte: ma non doveva avvicinarsi alla finestra, non doveva dargli la soddisfazione di mostrare che lei era lì, in sua attesa, come non avesse altro da fare. Doveva svagarsi, occuparsi di qualcosa, così ad un tratto Clelia si alzò dalla sedia per accendere la lampadina, contenta di aver trovato un gesto utile, e in quell’attimo sentì una vibrazione nell’aria, qualcosa di realmente poco comprensibile: si accorse Clelia, all’improvviso, che era trascorso più tempo di quello che si sarebbe mai immaginata: il giorno aveva già tracimato dentro la sera, il cielo si era oscurato, un altro pomeriggio era passato, senza che lei quasi se ne fosse neppure accorta. Così mosse alcuni passi dentro la stanza, Clelia, si guardò attorno nel silenzio, e infine andò ad accostarsi di nuovo alla finestra, con un moto di disperata speranza.

Non c’era più nessuno nella strada adesso, tantomeno lui. Eppure a Clelia sembrava ancora che quasi stesse arrivando, le pareva addirittura di vederlo, se ci pensava con profondità, con il suo modo particolare di camminare, la sua faccia serena, il suo sorriso. No, rifletteva adesso all’improvviso, non stava venendo da lei, ecco cos’era l’elemento più nuovo, e non era lui quella persona che camminava laggiù da sola contro le case, anche se in fondo forse questo non aveva più alcuna importanza: d’un tratto non era più tanto essenziale che ora lui si facesse vedere, che uscisse fuori dallo scuro di quei marciapiedi; Clelia adesso provava un’emozione diversa, lo sentiva accanto a sé, ne sentiva il respiro, la presenza, le pareva quasi di poterlo toccare, come se non si fosse mai allontanato; lui era lì, insieme a lei, Clelia ne era sicura, e tutto il resto al confronto con questa convinzione era soltanto una sciocchezza del tutto secondaria.

Bruno Magnolfi

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