mercoledì 22 giugno 2011

Tra solide mura.




Lo so che là fuori ci sono un sacco di persone. Ma non importa, io mi limito ad osservarle qualche volta, quando mi affaccio alla finestra, anche se soltanto per pochi minuti, nel terrore che qualcuno possa voltare lo sguardo fin su in alto, su di me, incuriosito forse dai miei modi, dalla mia perenne titubanza, dalla mia espressione preoccupata. Resto in casa, certo, per tutto il tempo che questo mi è possibile, però certe volte mi rendo conto, dai rumori e dagli schiamazzi, che ci sono dei ragazzi che stanno giocando a rincorrersi nel cortile sul retro, oppure che qualche giovanotto sta strombazzando lungo la strada con la sua motocicletta o con la sua automobile.

Ascolto attonito lo stridore dei freni delle vetture, certe volte, e sento di provare paura per tutto ciò che può accadere da un momento all’altro. Così quando devo uscire di casa lo faccio con circospezione, osservando attorno a me tutto quanto possa manifestarsi come un pericolo: lancio continuamente occhiate a destra ed a sinistra, cammino il più vicino possibile ai muri delle case, non saluto mai nessuno, anche se incontro qualche vicino che forse riesce a riconoscermi; non me la sento di rischiare che qualcuno mi rivolga delle domande, che mi chiedano magari le solite ovvietà: come io stia, se mi sembri una giornata bella, o forse se per quel giorno, come sembra, io mi sia deciso a fare una deliziosa passeggiata.

Non ho alcun interesse nel far parte di una conversazione costituita di convenienze e di formalità: immagino tutta quella serie di persone che mi vengono vicino, che mi osservano, rivolgono proprio a me tutti i loro discorsetti insulsi, ed io provo un formidabile desiderio di rifugiarmi di nuovo dentro casa, di allontanarmi il più possibile da loro, da quei loro modi insopportabili. Immagino che qualcuno ormai si immagini tutto di me, che sappia della mia esistenza ritirata, e forse mi controlli, fingendo di leggere il giornale da sopra al marciapiede, probabilmente proprio sotto a queste mie finestre.

Certe volte poi, a notte fonda, quando tutti ormai sono a dormire, ecco che mi sveglio, mi alzo dal letto con circospezione, vado in cucina e mi bevo un sorso d’acqua. In certi casi mi avvicino alla finestra, guardo la strada deserta, rischiarata dai lampioni: i miei pensieri mi spingono laggiù, lungo la strada, in mezzo a quelle case che riesco ad osservare, e mi ritrovo a girellare tra quei marciapiedi deserti, a godere di quel meraviglioso silenzio, di tutto quel deserto di persone, di quella gigantesca assenza, ma infine avverto tutto questo come un gesto inutile, perché non avrebbe alcun significato, solo per questo, immaginarsi di essere libero dalle mie preoccupazioni, così attendo con pazienza il risveglio di tutta la città, il lento riavviarsi dei fermenti, della voglia di fare di tutte le persone, di tutta quella gente che si muove, che si guarda attorno, che sta attenta alle cose, e che sa perfettamente come io sia ancora qui, dietro alla finestra, soltanto momentaneamente protetto da queste mie solide mura.

Bruno Magnolfi

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