lunedì 17 gennaio 2011

I topi dentro la testa.




I topi già da diverso tempo avevano iniziato ad attraversare il margine del mio campo visivo. Succedeva maggiormente proprio nei momenti in cui mi sentivo tranquillo, a posto, senza pensieri. Certe volte accadeva che io mi piazzassi lì con la mente completamente sgombra da qualsiasi preoccupazione, ed ecco che d’improvviso un branco di quei maledetti spiccava una corsa da un angolo per andare a perdersi in qualche sfumatura lontana.

Agli inizi quasi mi divertivo, non ci trovavo niente di male in tutto questo: spesso arrivavano in due o in tre e si fermavano da una parte, mi guardavano con i nasi per aria, poi tutto perdeva di qualsiasi consistenza. Naturalmente in tutti quei casi io non davo loro alcuna importanza, anzi certe volte volgevo lo sguardo da tutt’altra parte, come a mostrare quanto poco interesse nutrissi per la loro presenza. Però mi ritrovavo in uno stato di agitazione, come se dovessi sforzarmi per conservare la tranquillità che dimostravo, eppure ero lì, seduto, senza che ci fosse qualcuno nei dintorni, a parte quelle bestiacce, a disturbare i miei comportamenti.

Osservavo con indifferenza la porta scura in fondo al lungo corridoio, le grandi vetrate luminose che si aprivano su un fianco, le piastrelle chiare e identiche di cui è coperto tutto quel pavimento. E’ una prospettiva usuale, monotona, che ho guardato per centinaia, forse migliaia di volte, mi sono sempre trovato benissimo per interi pomeriggi ad osservare le lente variazioni di luce là dentro, non ho mai avuto sobbalzi di nessun tipo, neppure quando qualcuno ha percorso quel tratto di corridoio fino alla porta. All’improvviso i topi arrivavano, giungevano davanti ai miei occhi dal margine, e in genere erano piccoli, rapidi, e come tante macchioline scure in movimento scivolavano sul pavimento e dentro al mio sguardo, poi si fermavano, a volte scorrevano lungo il muro di destra, altre volte attraversavano di colpo tutto quel corridoio, e infine sparivano, come d’incanto, contro la porta sul fondo, marroni sopra al marrone.

Trovavo odioso quello zampettare silenzioso sulle piastrelle, eppure non potevo fingere a lungo che niente accadesse, così avevo iniziato a spostare il mio punto di osservazione dalla parte opposta del corridoio. I finestroni pieni di luce mi rimanevano così sulla destra, e in fondo a tutta la prospettiva osservavo una porta del tutto simile all’altra, dalla parte opposta, vicino a dove mi ero piazzato, ma che stava, al contrario di quella, perennemente spalancata. I topi parevano spuntare proprio da lì, come se nelle stanze comprese in quell’ala dell’edificio si annidasse tutta la loro congrega.

Perciò mi alzai dalla sedia, mossi dei passi titubanti lungo quel corridoio, arrivai fino alla soglia dell’uscio spalancato, misi la testa dentro alle stanze, mi accertai che in quel momento non ci fosse nessuno, poi, quasi con impeto, chiusi la porta, immaginando così di bloccare l’accesso a quegli animali. Invece, quando mi voltai, rimasi del tutto sbalordito: davanti a me c’erano decine di topi, da piccoli a grandi, di colori più chiari e più scuri, con le code ora brevi ora lunghe, e tutti si erano fermati a guardarmi, con i nasi per aria, come in attesa di una reazione.

Urlai con quanta voce avevo dentro la gola, pur restando fermo dov’ero, non tanto per richiamare l’attenzione di qualcuno, quanto per provare se con quel rumore che producevo quei mostriciattoli se ne sarebbero andati, se fossi riuscito a metterli in fuga, a farli sparire obbligandoli a zampettare velocemente lungo quel pavimento. Al contrario, nessuno di loro si mosse, restarono fermi, continuarono per lunghe frazioni di tempo a guardarmi, forse ancora più minacciosi di prima, quasi fossero sordi ai miei urli, e solo alla fine, quando fu spalancata la porta di fondo da qualcuno che veniva in soccorso, in quella folata di vento che così si produsse, i topi sparirono tutti dal mio campo visivo, come non fossero neppure esistiti, esattamente come non fossero mai stati lì.

Bruno Magnolfi

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