sabato 12 febbraio 2011

Fuori dal tempo.







Dovevo assolutamente riuscire a prendere il treno delle diciannove e trentadue per tornarmene a casa, anche se ero uscito della riunione della direzione aziendale in forte ritardo, tutto grazie alle solite chiacchiere di circostanza dei colleghi una volta terminate le discussioni ufficiali, e così continuavo a percorrere di corsa piccoli tratti di quei marciapiedi infiniti della città, mentre già quasi vedevo in fondo al viale il grande edificio della stazione ferroviaria. Il biglietto lo avevo, era ben custodito al fondo di una delle mie tante tasche, e la mia valigetta per i documenti più volte mi era parsa un elemento stupido e inutile nel mio tentativo di sentirmi leggero, capace di giungere in tempo.

Ero arrivato davanti ai binari con quasi l’ultimo filo di fiato che conservavo dentro ai polmoni, e intravisto il grande pannello a messaggio variabile che indicava la postazione del mio convoglio, così mi ero diretto senza fermarmi verso quel marciapiede, allentando di poco il mio ritmo solo negli ultimi metri di corsa, fino a rendermi conto, una volta giunto di fronte, che il mio treno sarebbe partito con un ritardo di diversi minuti, chissà mai per quale motivo.

Così, con un piede già sopra al gradino del treno, mi ero fermato un momento a riprendere fiato, poi ero entrato dentro al vagone con una calma maggiore, guardandomi attorno come per scegliere un posto ottimale dove riposarmi dopo quella fatica, fino ad abbandonarmi sul primo sedile libero che avevo trovato. Avevo appoggiato la mia valigetta a terra, accanto ai miei piedi, rilassato le braccia sopra ai braccioli, appoggiato la testa allo schienale mentre sentivo il sudore scendermi dentro al colletto della camicia, infine avevo dato un’occhiata alle altre persone che stavano sedute insieme a me.

Di fronte avevo una donna, una signora distinta, immersa nella lettura di una rivista illustrata, e senza volerlo l’avevo sfiorata mentre mi accingevo a sedermi. Mi aveva notato, ma non aveva detto niente, anche se io mi ero prontamente scusato, si era solo scostata sistemandosi meglio per le sue letture. Erano passati così almeno dieci minuti, infine il treno si era avviato, e il rumore delle ruote, giungendo ovattato, aveva immediatamente lasciato calare un certo torpore.

La signora di fronte aveva messo via la sua rivista, osservato qualcosa dal finestrino, e infine mi aveva guardato, soltanto per un attimo, giusto per dirmi, con voce bassa: certe volte viaggiare su un treno fa perdere il senso del tempo, non trova? Si, avevo detto, ha ragione, senza che fossi riuscito a capire a che cosa intendesse riferirsi. E’ un po’ come immaginarsi di affrontare un viaggio molto più lungo, alla cui fine è possibile scoprirsi diversi, cambiati, come se qualcosa potesse intervenire dentro di noi per far emergere aspetti che non conosciamo.

Perché dice questo, mi feci coraggio di chiedere, forse nel passato le è accaduto qualcosa del genere? Forse ha maturato qualche importante decisione proprio su un treno? Lei non rispose, abbassò semplicemente lo sguardo sorridendo per le mie domande, infine tornò ad osservarmi, ma solo per dirmi: no, a me non è mai accaduto niente di particolare, però devo riconoscere che viaggio sempre molto di rado, ma soltanto adesso, vedendo lei, mi è parso evidente come tutto qui sopra si presenti così legato a tempi e ad orari, da riuscire a farci provare la voglia di liberarcene, una volta per tutte; non lo faremo, certo, forse nessuno riuscirà neppure a cambiare minimamente per questo, però che bello sognarlo…



Bruno Magnolfi

Nessun commento:

Posta un commento