martedì 22 febbraio 2011
Scena n. 16. Presa di coscienza.
Nessuno di noi può tacere su ciò che sta accadendo, diceva l’uno. Certo, tacere avrebbe significato soltanto avvallare ciò che succedeva, e di questo, nei fatti, nessuno di loro, e neppure qualsiasi altra mente aperta, poteva condividerne la triste realtà sotto gli occhi di tutti. Eppure c’era chi si limitava ad annuire, e rimaneva lì, fuori dall’alveo della discussione, preso solamente dalle proprie piccole convinzioni che non arrivavano neppure ad abbracciare gli argomenti che oggi erano davanti a chiunque.
Il problema di sostanza, diceva qualcun altro, è l’indifferenza nella quale viene coltivato tutto il processo in atto in questi ultimi tempi, ed è del tutto inutile appellarsi alla necessità del suo esatto contrario: ci vogliono i motivi, e se questi non riescono a smuovere l’assopita coscienza di chi sta solo a guardare, tutto è inutile, non cambierà un bel niente di questa situazione.
Lentamente Fausto era entrato nella sala, aveva percorso lo stretto corridoio lungo il muro di fondo, e infine si era seduto in un posto libero, attirato dall’interessante e colorato manifesto all’esterno che pubblicizzava la riunione in quel circolo della cultura. Aveva inforcato i suoi occhiali, ascoltato attentamente le ultime parole, infine si era reso conto di quanto l’argomento fosse meno interessante di quello che avrebbe creduto in un primo tempo. Era tardi per andarsene, così svogliatamente si era messo immobile a seguire quei discorsi. Trascorsero così pochi minuti, infine si alzò, appena disturbando il suo vicino, e proprio in quel momento dal tavolo dei relatori si voltarono incuriositi verso di lui.
Ci fu soltanto un attimo di imbarazzato silenzio, come un dare spazio all’intervento che Fausto pareva voler fare, e di fatto, trovandosi lui così in piedi, di fronte a tutti, con una concessione di parola che spesso non era facile ottenere in assemblee di quel genere, si schiarì la voce, e nel silenzio generale, disse in fretta, quasi sottotono: credo che i tempi siano ormai maturi. Si tratta di far forza sulla leva della solidarietà, senza forzare le cose, basta una parola di collegamento, e tutti sapranno cosa fare.
Poi tolse gli occhiali, Fausto, guardò in basso per vedere se nel momento gli fosse caduto qualcosa, quasi per un gesto istintivo, e rimase in silenzio per un attimo, quando, nella stessa frazione di secondo, forse per motivi di incoraggiamento, qualcuno iniziò ad applaudire, trascinando velocemente tutti gli altri. Fausto non riuscì ad aggiungere altro, si schernì con un gesto delle mani, ma anche questo fu preso per un’amplificazione delle sue parole, e in breve tutti si trovarono d’accordo con la sua semplicità e la sua schiettezza. Tutti si voltarono a guardarlo uscire dalla sala, alcuni, con grandi sorrisi, cercarono addirittura di fermarlo, ma Fausto era già tornato sulla strada mentre si spengeva l’eco degli applausi dietro di lui.
Chissà, pensava lui, forse era vero quel che aveva detto, forse per combinazione aveva colpito proprio nel segno: in ogni caso non gli dispiaceva affatto aver spiegato così la propria opinione; anzi, adesso si sentiva bene, sgravato da un peso che forse senza rendersene conto lo aveva a lungo oppresso. Era bello avere un’idea precisa delle cose, pensava, per niente al mondo adesso si sarebbe scambiato con coloro che stavano a guardare, si sentiva all’improvviso migliore di parecchi altri, e questo era senz’altro un grande risultato.
Bruno Magnolfi
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