sabato 21 gennaio 2012

L'acquario del mondo.



Fuori, la città era ostile. Lei era uscita di proposito per affrontarla, per andare incontro a quello che oramai le pareva inevitabile, ciò nonostante, adesso provava una leggera paura, un disagio profondo, che dimostrava forse la sua evidente incapacità al confronto con gli altri. Si era preparata, aveva abbandonato, dopo averle sputate, le sue pastiglie dentro un vaso da fiori, e aveva pensato per tempo a tutto quanto, premurandosi giusto di lasciare un gesto di affetto verso il piccolo acquario incantato, con i suoi amati pesciolini rossi: ne aveva accarezzato il vetro con molta lentezza, li aveva osservati nuotare nell’acqua uno ad uno, e si era quasi divertita, ancora una volta, ad appannarne la superficie con il proprio fiato.

La strada procedeva diritta avanti a sé, e faceva freddo, anche se si era coperta, e aveva addirittura indossato la sciarpa, proprio quella che normalmente le opprimeva il collo e non sopportava. Scendendo le scale non aveva incontrato nessuno, ma forse, pensava con leggero piacere: adesso qualcuno probabilmente si sarà già reso conto della mia assenza. Sicuramente, per procedere avanti, lei camminava, ne aveva una vaga coscienza, ma era come se il marciapiede le si srotolasse via sotto ai piedi, ed il resto, gli alberi, le case, i portoni dei palazzi, tutto quanto semplicemente le scivolasse vicino, come in una prospettiva inventata.

Lungo il viale aveva incontrato soltanto due o tre persone a piedi, ma non le aveva guardate, si era anzi voltata dall’altra parte, proprio per non dover dire ciò che pensava di loro, di tutti quanti. Poi aveva visto una panchina vuota e si era seduta. Era sicura di avere la forza e l’energia sufficienti per riuscire a combattere contro qualsiasi cosa fosse venuta a sfidarla, però non voleva guardare attorno a sé, le bastava osservare qualcosa sul marciapiede, e sapere che lei era lì, decisa, con le idee chiare. Aveva visto due bambini che si avvicinavano, così aveva nascosto la faccia dentro alle mani, ma quelli si erano fermati, avevano cercato di guardarla con maggiore curiosità, e prima che arrivasse la mamma, lei aveva già perduto la capacità di ignorarli.

Si era messa ad urlare, ad un tratto, che andassero via, via da lì, che voleva stare da sola, che non c’era proprio niente da continuare a guardare, e quei bambini, impauriti, erano andati verso la mamma, ma lei oramai aveva sentito che la crisi la stava prendendo, che non sarebbe riuscita a resistere, che tutto le stava vorticando intorno alla testa, e che la strada e il marciapiede si attorcigliavano tra loro senza che potesse far niente. Le erano tremate le gambe, le braccia, aveva dovuto quasi sdraiarsi sulla panchina, ma non era intervenuto nessuno, e così, poco alla volta, in pochi minuti, le era passata la crisi, e tutte le cose avevano ripreso a funzionare in maniera quasi normale.

Infine lei si era alzata, aveva mosso due o tre passi in avanti, poi aveva atteso il primo passante. Quello camminava senza problemi, come un soldato convinto delle proprie risorse: le sue scarpe erano lucide, il cappotto abbottonato, il suo respiro rilasciava nell’aria una nuvoletta di vapore sfogliata immediatamente dal vento. Lei pensò a sé, ai suoi pesciolini nudi nell’acqua, ed ebbe un moto di rabbia. Rimase ferma più a lungo di quanto si sarebbe aspettata, e quando il passante riuscì a superarla, lei rimase incapace di qualsiasi offensiva immaginata fino ad allora, come se avesse perso l’energia sufficiente, o la capacità di sapere che cosa davvero era importante.

Tornò a sedersi sulla panchina ancora vuota, si concentrò sul nuoto dei suoi pesciolini che adesso quasi vedeva muoversi da qualche parte, con le loro piccole code guizzanti, e quando arrivò l'ambulanza con quelle persone gentili, seppe che poco dopo li avrebbe rivisti, e questo fu sufficiente a farla felice.

Bruno Magnolfi

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