Soltanto pochi anni fa tutto mi sembrava ancora possibile. Avevo
acquistato una bicicletta nuova, ed avevo iniziato a girare per tutte le
strade di questa città che, per un motivo od un altro, non ero stata
capace in tanto tempo di frequentare. Voltavo un angolo ad un incrocio, e
improvvisamente scoprivo una prospettiva del tutto nuova, una fila di
alberi lungo un viale, delle facciate di case particolari, dei vecchi
muri di pietra, incanto di una cultura attenta anche al punto di vista
di un qualsiasi anonimo viaggiatore.
Pedalavo con calma, mi fermavo, entravo in qualche vecchia tabaccheria
oppure da un droghiere, e mi pareva di respirare la mia città in ogni
sua forma, quartiere dopo quartiere, un luogo dopo l’altro. Tornavo a
casa, poi, e mi ritrovavo a pensare a tutto quello che ero riuscita a
scoprire, e mi sentivo bene, contenta, parevano sufficienti queste
piccole cose per vivere bene, sentirsi in perfetta armonia con questo
agglomerato di vecchie case e di strade antiche. Abitavo da sola, non
frequentavo nessuno, e anche se non avevo moltissimo tempo per questi
miei giri, quando la giornata si mostrava propizia inforcavo la mia
bicicletta e me ne andavo incontro alla città.
Mi pareva poco per volta di conquistare qualcosa di particolarmente
prezioso, e in questa maniera non mi sentivo mai sola, circondata
com’ero da tutte quelle facce e quelle espressioni che incrociavo per
strada nel mio pedalare. Un giorno però caddi a terra, non riesco ancora
oggi a comprenderne bene il motivo. Avevo notato un uomo, lungo il
viale, e ne ero stata attratta, inutile negarlo; e questo era successo
nello stesso momento in cui avevo messo la ruota della mia bicicletta
sopra una pietra sconnessa. Non mi ero fatta molto male, ma in molti
erano accorsi, avevano cercato di rendersi utili fin troppo nel cercare
di rialzarmi e farmi coraggio, ma quell’uomo che avevo notato non si era
neppure sollevato dalla panchina dove stava seduto.
Inizialmente avevo pensato fosse soltanto una scortesia da parte sua,
ma una volta risalita sulla mia bicicletta, in considerazione di quanto
era accaduto, mi era parso il suo un gesto atto solo ad evitare
l’eccessiva curiosità che gli altri avevano mostrato. Così avevo ripreso
con calma la mia pedalata, ma poco dopo mi ero sentita quasi in dovere
di tornare sopra i miei passi, avvicinarmi alla panchina dove ancora si
tratteneva quell’uomo, e ringraziarlo. Lui aveva sorriso, si era alzato
dal suo posto, ed io avevo messo un piede a terra, fermandomi.
Non si era poi fatta male, aveva detto lui sorridendo. Anch’io avevo
sorriso, e l’uomo mi era venuto vicino, aveva sistemato la mia
bicicletta accanto al marciapiede, poi mi aveva invitato a prendere
qualcosa nel caffè accanto. Lo avevo seguito, ci eravamo presentati, ed
avevamo fatto conoscenza. Ci eravamo dati appuntamento per il giorno
seguente, e poi per il giorno dopo, e ancora per tutti i giorni a
venire, lungo un tempo che andò avanti per molto. Lui mi aveva invitato
da subito a salire sulla sua automobile, ed io avevo lasciato ben
volentieri la bicicletta, andando insieme a lui a guardare quegli scorci
della città che adesso avevo il piacere di mostrare anche a quell’uomo
così attento ai particolari. Infine litigammo, iniziando a vederci
sempre più raramente, e quando tirai fuori di nuovo la mia bicicletta,
mi parve comunque di avere ormai perso qualcosa di importante, forse un
vero rapporto d’affetto in cui avevo sperato, forse la concreta
possibilità di non sentirmi più sola come molte volte era successo;
oppure, all’improvviso, vedevo soltanto ormai tramontato anche lo
spirito giusto per andarmene ancora a girare per la città senza una meta
precisa.
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