martedì 20 novembre 2012

Una donna con la sua bicicletta. 2

            
            Soltanto pochi anni fa tutto mi sembrava ancora possibile. Avevo acquistato una bicicletta nuova, ed avevo iniziato a girare per tutte le strade di questa città che, per un motivo od un altro, non ero stata capace in tanto tempo di frequentare. Voltavo un angolo ad un incrocio, e improvvisamente scoprivo una prospettiva del tutto nuova, una fila di alberi lungo un viale, delle facciate di case particolari, dei vecchi muri di pietra, incanto di una cultura attenta anche al punto di vista di un qualsiasi anonimo viaggiatore.
            Pedalavo con calma, mi fermavo, entravo in qualche vecchia tabaccheria oppure da un droghiere, e mi pareva di respirare la mia città in ogni sua forma, quartiere dopo quartiere, un luogo dopo l’altro. Tornavo a casa, poi, e mi ritrovavo a pensare a tutto quello che ero riuscita a scoprire, e mi sentivo bene, contenta, parevano sufficienti queste piccole cose per vivere bene, sentirsi in perfetta armonia con questo agglomerato di vecchie case e di strade antiche. Abitavo da sola, non frequentavo nessuno, e anche se non avevo moltissimo tempo per questi miei giri, quando la giornata si mostrava propizia inforcavo la mia bicicletta e me ne andavo incontro alla città.
            Mi pareva poco per volta di conquistare qualcosa di particolarmente prezioso, e in questa maniera non mi sentivo mai sola, circondata com’ero da tutte quelle facce e quelle espressioni che incrociavo per strada nel mio pedalare. Un giorno però caddi a terra, non riesco ancora oggi a comprenderne bene il motivo. Avevo notato un uomo, lungo il viale, e ne ero stata attratta, inutile negarlo; e questo era successo nello stesso momento in cui avevo messo la ruota della mia bicicletta sopra una pietra sconnessa. Non mi ero fatta molto male, ma in molti erano accorsi, avevano cercato di rendersi utili fin troppo nel cercare di rialzarmi e farmi coraggio, ma quell’uomo che avevo notato non si era neppure sollevato dalla panchina dove stava seduto.
            Inizialmente avevo pensato fosse soltanto una scortesia da parte sua, ma una volta risalita sulla mia bicicletta, in considerazione di quanto era accaduto, mi era parso il suo un gesto atto solo ad evitare l’eccessiva curiosità che gli altri avevano mostrato. Così avevo ripreso con calma la mia pedalata, ma poco dopo mi ero sentita quasi in dovere di tornare sopra i miei passi, avvicinarmi alla panchina dove ancora si tratteneva quell’uomo, e ringraziarlo. Lui aveva sorriso, si era alzato dal suo posto, ed io avevo messo un piede a terra, fermandomi.
            Non si era poi fatta male, aveva detto lui sorridendo. Anch’io avevo sorriso, e l’uomo mi era venuto vicino, aveva sistemato la mia bicicletta accanto al marciapiede, poi mi aveva invitato a prendere qualcosa nel caffè accanto. Lo avevo seguito, ci eravamo presentati, ed avevamo fatto conoscenza. Ci eravamo dati appuntamento per il giorno seguente, e poi per il giorno dopo, e ancora per tutti i giorni a venire, lungo un tempo che andò avanti per molto. Lui mi aveva invitato da subito a salire sulla sua automobile, ed io avevo lasciato ben volentieri la bicicletta, andando insieme a lui a guardare quegli scorci della città che adesso avevo il piacere di mostrare anche a quell’uomo così attento ai particolari. Infine litigammo, iniziando a vederci sempre più raramente, e quando tirai fuori di nuovo la mia bicicletta, mi parve comunque di avere ormai perso qualcosa di importante, forse un vero rapporto d’affetto in cui avevo sperato, forse la concreta possibilità di non sentirmi più sola come molte volte era successo; oppure, all’improvviso, vedevo soltanto ormai tramontato anche lo spirito giusto per andarmene ancora a girare per la città senza una meta precisa.    

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