La
vecchia corriera ogni volta che intercetta una buca pur piccola nel
tragitto che compiono le sue grosse ruote di gomma rotolando sopra
l’asfalto, ha una vibrazione rumorosa di vetri e ferraglia, quasi un
lamento stridente. Lei siede apparentemente tranquilla sul sedile della
vettura, e segue con convinzione la successione dei propri piccoli gesti
abitudinari di ogni giornata. Quasi come un automa, inizialmente da
sola, ha atteso nell’aria buia vicino alla fermata a poche centinaia di
metri da casa, quel mezzo che ogni mattina in un’ora la traghetta fino
al suo posto di lavoro, senza però, anche in quel caso, che i suoi
pensieri si siano minimamente messi a disposizione di ciò che stava
effettivamente compiendo. La sua mente generalmente in quegli attimi si
astrae completamente dalla realtà, e anche se lei prosegue a compiere
tutti quei gesti che servono, perfino dare il buongiorno al signor Dani,
a cui poi non rivolge praticamente più la parola per tutto il resto del
viaggio, lei è quasi come se non fosse presente, anzi quasi fosse molto
distante, persa tra una massa di pensieri persino inspiegabili agli
altri.
Che
cosa importa, riflette lei in certi casi, tutto questo monotono
completare un percorso sempre identico, quasi come non esistesse nessuna
diversa possibilità. Ogni aspetto reale è sacrificio, piegare la testa a
certe cose che poi sono la vita, l’esistenza vera e corrente; perché
non c’è nient’altro nascosto da qualche parte, niente che possa
raccogliere tutto questo e darne una forma diversa, se non il pensiero,
la riflessione continua che modifica l’insieme, ne produce qualcosa di
differente, compiendo un miracolo semplice, praticamente alla portata di
tutti. Lei certe volte prende un appunto delle sue riflessioni,
scrivendolo in fretta su un quaderno scolastico che porta nella borsetta
sempre con sé. La sua calligrafia risulta minuta, composta da pochi
segni, non per essere incomprensibile agli altri, quanto per racchiudere
in poco un insieme il più possibile vasto. E lei ne è orgogliosa di
quelle sue pagine, quasi fossero un parziale compendio dei suoi giorni
veri, quelli che scorrono praticamente sotto agli occhi di tutti, senza
che tutti riescano forse a comprenderne il senso.
Se
qualcuno le parla lei ascolta, spesso con grande interesse, ma quasi
sempre non riesce a trarre dalle cose che sente un’opinione precisa.
Pare come se qualcosa non le permettesse di farlo, come se non
comprendesse addirittura gli aspetti più semplici di quanto le viene
spiegato. Per questo non capisce neppure le parole che il signor Dani le
dice, la mattina quando lo incontra come sempre alla fermata della
corriera. Lui dice qualcosa con un tono diverso dal suo buongiorno di
sempre, qualcosa che lei non ha mai sentito, ed usa termini che sono
fortemente volgari, insinuanti, del tutto diversi dall’immagine che lei
se ne è fatta in tutti questi anni. Non dà peso a niente, resta
semplicemente in silenzio, abbassa la testa, forse sorride per rompere
l’imbarazzo che prova, e compie in questa maniera il suo errore più
grande.
E’ il giorno seguente che infine tutto si compie, quando il signor Dani
con fare concitato la invita a salire sulla sua auto, poco prima
dell’arrivo della corriera, per una cosa che dice essere molto, molto
importante. Lei, presa così di soprassalto, accondiscende, forse senza
neppure pensare, e quasi non si ribella di fronte alle sue mani che la
toccano dappertutto, cerca soltanto di fermarlo, certamente, ma senza
usare neppure maniere forti; e resta praticamente in silenzio, quel
fortissimo silenzio che adesso avverte, che conosce e riconosce soltanto
quando si trova di fronte a qualcosa che per lei è così
incomprensibile. E basta.
Bruno Magnolfi
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