giovedì 20 gennaio 2011

Rosi e nient'altro



Avevamo trascorso un lungo periodo cercando lo scopo e le soluzioni da definire. La direzione strategica poi mi aveva assegnato a quella città del Nord, e di quei compagni iniziali con i quali avevo trascorso i primi tempi di clandestinità non avevo avuto più alcuna notizia. Eravamo tre adesso, e ci si era conosciuti nello snodo della metropolitana, un posto pieno di gente nella fascia oraria che avevamo pattuito. Si era finto di osservare con interesse una vetrina, guardandoci a lungo senza farci notare. Io ero l’unica donna. Abitavamo tre appartamenti differenti, e si era scelto di vedersi solo una volta a settimana, in luoghi e giorni sempre differenti. Quando iniziammo a spiare le mosse e le abitudini dell’obiettivo designato, ci vedemmo più spesso. In pubblico non parlavamo mai tra noi: ci scambiavamo furtivamente dei foglietti con su scritte le idee e le piccole personali decisioni. Tutto il resto ci arrivava nella cassetta per la posta con una scrittura in codice. Dei miei compagni conoscevo solo i nomi di battaglia: Frenchi e Lesli. Per me avevo scelto Rosi. In tutto quel periodo di solitudine forzata avevo iniziato a ripensare a tante cose: mi era preso anche il desiderio struggente di telefonare alla mia mamma, poi l’avevo cancellato. Spesso mi divertivo a ricordare i miei capricci da bambina. Non c’era mai un vero e proprio motivo per intestardirsi su qualcosa che desideravo per me o che volevo gli altri facessero. Era una prova a cui sottoponevo chi mi era vicino per misurare i loro sentimenti. Superata quella mi sentivo dolce e affettuosa con tutti. Forse non ero cambiata molto crescendo. Il mio programma di lavoro prevedeva l’uscita da casa, ogni mattina, alle ore sette e dieci. Qualche volta, sopra al pianerottolo del palazzo, incontravo un uomo che abitava l’appartamento accanto al mio. In genere cercavo di evitarlo anche se non sempre era possibile. Sua moglie dava l’idea della persona che origlia alla porta per riuscire a sapere i fatti degli altri. Non potevo rischiare niente, neanche che mi rivolgessero qualche domanda sottile, magari sorridendo. Così normalmente mostravo fretta, limitandomi ad un semplice e generico “buongiorno”. Il personaggio cui mi ispiravo era quello di una segretaria impiegata in una direzione assicurativa. Ma per tutto quel periodo nessuno chiese niente. Quasi ogni giorno cambiavo occhiali e parrucche seguendo i percorsi del mio obiettivo. Mi sedevo sopra una panchina, dentro a qualche bar, nella mia stessa auto, e mi annotavo gli orari dei passaggi, descrivendo tutti i particolari che osservavo. Non era troppo difficile far trascorrere l’intera mattinata mentre studiavo, con modo di fare disinvolto e insospettabile, tutte le possibili traiettorie seguite dal mio uomo. Al pomeriggio tornavo a casa presto, in genere verso le cinque, e sopra le piantine dettagliate delle strade cittadine ripercorrevo con matite colorate ogni tragitto. Tutte le informazioni che ogni volta riuscivo a completare le passavo ai miei compagni tramite i soliti foglietti. Gli avvistamenti del pomeriggio e della sera erano un compito di Lesli. Una sera andammo assieme nel quartiere residenziale interessato. Si fece un giro a piedi fingendo una passeggiata di piacere. In realtà tenevamo sotto osservazione tutto quanto. Non parlammo molto, giusto le cose essenziali. Poi Lesli decise di entrare in un bar. Il nostro uomo era rientrato in casa e non avevamo praticamente altro da fare. “Sei carina”, disse semplicemente, quando fummo seduti al tavolino. “Non avrei creduto di trovare dei tipi come te nell’organizzazione”. “Perché”, risposi, “cosa ci trovi di tanto strano?”. “Forse niente”, disse, “però immaginavo un mondo di duri che non si preoccupa del trucco o del rossetto, tutto qua…”. Guardai Lesli negli occhi e mi accorsi che era convinto di quello che diceva, così lasciai cadere l’argomento. “Ti sei visto con Frenchi?”, chiesi. Prese tempo, guardò qualcosa oltre le mie spalle, poi disse: “certo; qualche volta sono andato assieme a lui ad osservare i movimenti dei conoscenti del bersaglio”. Poi pensò qualcos’altro che voleva dirmi, ma rimase in silenzio, forse per evitare di parlare di sé....continua su "Parole o semplici frasi " di Bruno Magnolfi.

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