giovedì 6 gennaio 2011

Incomprensibile solitudine




Seduta ad un tavolino della saletta di un bar, la ragazza si era fatta servire una tazza di tè dal cameriere, poi aveva aperto un libro che aveva dentro la sua borsa, e ne aveva scorso velocemente alcune pagine, seguendo le parole, a dire la verità, con scarsa concentrazione. Intorno c’erano poche persone, una coppia di innamorati, tre giovanotti, un anziano da solo. Non aveva alcun motivo importante per starsene lì, non aspettava nessuno, non le piaceva neanche troppo il locale, eppure le era difficile pensare di andarsene, forse perché non sentiva alcuna voglia di mettersi in giro con il freddo che faceva senza una meta, e neppure tornarsene a casa per stare da sola era qualcosa che le sembrava accettabile, almeno per quel pomeriggio.

Lei insisteva da anni nel definirsi ancora una ragazza, ma la sua età un po’ più avanzata tendeva ormai a mostrarsi: i primi capelli bianchi si erano già fatti vedere, qualche piccola ruga ormai contornava i suoi occhi, qualcuna forse anche la bocca. Che schifo la vita, pensava certe volte, se ne va via senza che neppure abbiamo imparato come trattarla, in quale maniera starci nel mezzo, considerarla, spenderla; non si era mai spinta molto in avanti, lei, questo era vero, però che cosa poteva farci se era quello il suo modo di essere, il suo carattere? In fondo era riuscita a starsene spesso da parte, senza dare fastidi, anche questo era un valore, e lei si sentiva orgogliosa di non aver quasi mai fatto le cose che non le andava di fare.

Era da sola, anche se non per una sua scelta, ma ormai questo suo modo di essere le era diventato quasi un vestito che non riusciva proprio a non indossare, e non le importava neanche più niente che qualcuno del vicinato pensasse di lei come di una zitella. Certe volte si piazzava seduta, osservava le sue mani sempre curate, e si sentiva completa, come se non avesse bisogno di altro: zitella era una donna che non accettava la vita senza un rapporto di coppia, pensava, per lei era diverso, andava tutto bene così, non aveva bisogno di niente, rialzava la testa quando i vicini la salutavano, e cercava di apparire felice, sorridente, a posto e in armonia con le poche cose su cui poteva contare. Aveva poi ripreso il libro, leggiucchiato un’altra mezza pagina, bevuto un sorso finale di tè, infine si era decisa ad alzarsi ed uscire dal bar.

Fuori la serata era fredda, come già sapeva, ognuno per strada si stringeva dentro ai propri abiti, lei aveva sistemato bene la sciarpa e percorso senza fretta alcuni marciapiedi di quel suo quartiere. Era giunta davanti al portone del condominio dove abitava soprappensiero, senza quasi rendersi conto, così aveva cercato la chiave nella sua borsetta, l’aveva inserita ed era entrata dentro l’ingresso, richiudendo velocemente l’uscio dietro le sue spalle. Un suo vicino del piano superiore era giunto in quel momento scendendo le scale, l’aveva salutata con un sorriso, lei aveva risposto, e infine, rallentando ambedue i propri movimenti, si erano guardati più attentamente, come alla ricerca di qualcosa di sensato da dirsi: fa freddo fuori, aveva spiegato lei; e camminare per strada da soli certe volte è pesante. Lui l’aveva guardata negli occhi, si era soffermato ancora un momento, quasi ad indagare su qualcosa di cui non aveva alcuna idea, poi era tornato con gesto lento ad aprire il portone, e infine, senza neppure riuscire a dirle niente, era uscito da lì, quasi di fretta.

Bruno Magnolfi

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