giovedì 6 dicembre 2012

La notte in città

            
            Allungo una mano nel buio insonne della mia camera. Avverto il vuoto, e l’aria ferma, assieme a quel senso di protezione e di silenzio dato dalle pareti mentre racchiudono lo spazio finito di questa stanza. Mi metto seduto sul bordo del letto, non mi interessa neppure sapere che ore siano, mi basta immaginarmi sperduto come sono tra i sogni e il riposo di tutta la gente che abita questa città. Vorrei spingermi fino ad una finestra, osservare dai vetri la strada vuota rischiarata da qualche lampione, ma non lo faccio, resto qui a pensare al miglior comportamento da seguire appena si sarà fatto giorno.
            Sono una persona comune, penso; uno qualsiasi che persegue una lotta di sopravvivenza per riuscire a conservare se stesso; uno come tutti, un altro tra coloro che si ritengono capaci di avere ancora pensieri propri. Non voglio però sentirmi in balia della solita angoscia di cui soffrono gli altri, voglio reagire, immaginarmi qualcosa di diverso per la giornata che vado ad affrontare, magari sentirmi capace di riflettere a fondo sui gesti e le espressioni che mi appaiono di fronte, quali elementi da interpretare ed a cui almeno provare a dare un significato.
            Resto seduto sul letto, nel buio, ma immagino la stanza, non riuscendo a vederla, molto più grande di quanto lo sia veramente, e mi sento quasi sperduto in questa specie di capannone industriale dove è stato collocato per me questo giaciglio. L’aria adesso sa di lavoro, di persone che affrontano dei sacrifici, di gesti consuetudinari portati avanti nella ricerca di qualcosa che almeno sia di sollievo a questo niente di cui siamo fatti. Osservo il procedere delle cose che mi circondano, tutto mi sembra un assurdo, tanto vale distogliere la mente da questi pensieri.
            Vado alla finestra, la apro, lascio che il freddo mi punga la pelle, ma ancora non riesco a sentire la solidarietà che vorrei manifestare verso tutti coloro che avverto in tutte le case che ho intorno. Mi vesto, scendo per strada, mi pare che adesso tutto sia vivo, che attenda soltanto il momento in cui l’ingranaggio riparte, che la macchina ritrovi il suo moto. Corro, mi metto ad urlare lungo la via come fossi uscito completamente di senno. Nessuno mi ferma, vado avanti a sentire il freddo della notte sopra la faccia, sento la disperazione farsi largo nella mia testa. Infine mi fermo, mi accuccio per terra, spossato: spesso la realtà è incomprensibile, penso; adesso mi sento figlio di questa incomprensibilità, e anche di tutta questa follia.
            Bruno Magnolfi

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