martedì 4 dicembre 2012

Solamente un ragazzo a cavallo.

            
            Non so, dice lei; forse ci potrei pensare. E’ strana certe volte Rita quando parla di alcuni argomenti. Non riesci a capire se una cosa le vada oppure no, pensa lui mentre guarda da qualche altra parte per non dimostrarle di essere leggermente deluso. Certe volte lei lascia delle pause piene di interrogativi, lui si sente quasi imbarazzato in quei casi, anche se proprio non saprebbe neppure dire effettivamente per quale motivo.
            Poi all’improvviso Rita lo abbraccia, forse per rassicurarlo, ma è come se non lo toccasse nemmeno, tanto il suo comportamento appare impalpabile, quasi incomprensibile. E in un orecchio gli dice: va bene, come se l’entusiasmo che lui aveva inserito nella sua proposta di prima, non fosse ormai irrimediabilmente perduto.
            Rita si siede sul letto della sua camera, in silenzio. Non è un invito, lui lo sa bene, ma soltanto un comportamento come un altro, una maniera forse per prendere tempo, per vedere che cosa potrà dire lui adesso. Invece lui va verso la finestra, guarda fuori qualcosa mentre continua a tenere aperta tra le mani una rivista di arte dove ci sono, in molte pagine, una serie infinita di riproduzioni di altrettanti dipinti; il soggetto è un ragazzo a cavallo che galoppa come solo il vento può fare, tanto da plasmare le forme e i colori di tutto, quasi un’espressione di nuovo futurismo, portato in questa maniera fino al paradosso.
            A lui piace passare il tempo con Rita in quella stanza, gli sembra l’ambito dove possa capitare di tutto, e difatti, se ancora ci pensa, tante cose sono accadute là dentro, quasi fosse un vero spazio teatrale, un ambiente all’interno del quale tutto o quasi possa essere ammesso. Lei dice: usciamo; ma sottovoce, quasi parlasse soltanto a se stessa. Lui le risponde in modo ambiguo, come se davvero ne avesse gran voglia, ma qualcosa fosse capace di trattenerlo là dentro.
            Hai visto?, fa lui mostrando a Rita le illustrazioni che aveva osservato. Non mi piace, risponde lei senza aggiungere altro. Forse sarebbe possibile parlare a lungo di queste immagini, pensa lui muovendo qualche passo dentro la stanza e richiudendo la sua rivista. Ma non ha forse alcuna importanza; gli torna a mente la domenica precedente, quando loro due sono andati a vedere il mare in burrasca, e stringendola a sé gli è quasi venuto da piangere, tanto sentiva che lei era lì, con lui, non come adesso.
            D’accordo, dice alla fine, quasi con una leggerissima forma di rassegnazione: usciamo. Rita si alza, lo guarda, forse si attende qualcosa d’altro, magari cerca soltanto di studiare il suo comportamento. Raccoglie la rivista d’arte che lui ha lasciato sul letto, dice: portiamo anche questa, così parliamo di quelle immagini che ti hanno colpito. Lui la guarda, sa che è quello il suo vero abbraccio, così sorride, e le dice: va bene, vorrei anche parlare di noi, qualche volta, anche se credo proprio non mi sarà mai possibile. Ma forse non ha alcuna importanza, pensa; spesso le nostre sono soltanto parole destinate a sfumare in modo confuso nei concetti che esprimono, tanto da lasciarne nell’aria appena un’interpretazione possibile. E poi davvero, cosa importa: va bene così.
            Bruno Magnolfi

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