martedì 27 settembre 2011

Nulla sarà più dimenticato.


In un angolo della stanza c’è una branda. Mi sdraio, negli ultimi tempi ho dormito sempre e soltanto dove è capitato, sentire adesso un letto morbido sotto di me è qualcosa che non credevo più neanche possibile. Credo che il mondo mi dimostri costantemente la sua ostilità, questa è una cosa che penso sempre, che non abbandona mai i miei pensieri, ma non adesso, non in questo momento in cui posso rannicchiarmi in questa cuccia morbida, e immaginare che per almeno qualche ora nessuno verrà a pormi domande, ad osservarmi, ad interessarsi di tutte le mie cose.

Forse sono completamente sbandato, non ho più riferimenti, non so neppure dove mi trovo, ma non chiedo di meglio che essere lasciato in pace almeno qualche ora, soprattutto che non arrivi di nuovo qualche carogna a chiedermi chi sono, cosa sto facendo, per quale motivo io mi trovi qui. Chiudo gli occhi anche se non dormo, e tutta questa ostilità che normalmente mi circonda sparisce quasi per magia; avverto l’aria libera intorno a me, anche se sono in una stanza chiusa, e in fondo non mi importa neanche se qualcuno verrà davvero ad osservarmi, è sufficiente che nessuno mi tolga questa mia intimità, questa mia ricerca interiore di cui non so dire, ma che è solo mia, non si può neanche spiegare, e soprattutto non è condivisibile.

Sto qui, so che non durerà a lungo, a qualcuno darà sicuramente fastidio che io possa rimanere più di un’ora o due su questa branda, magari che io possa prendere troppa cognizione di ciò che sono, che rifletta ancora su quello che per me sia maggiormente conveniente, capisca dove mi trovo, cosa stia facendo. Quando chiudiamo gli occhi siamo tutti uguali, penso, possiamo immaginarci quello che vogliamo, e anche solo sentire la pelle della schiena a contatto con un muro freddo, in fondo non ha alcuna importanza: siamo noi, ognuno dentro al proprio abbraccio, indifferentemente da dove siamo capitati e dal destino assurdo che ci ha portati fino qui.

Non voglio pensare cosa stia succedendo fuori da questa stanza, non voglio sapere niente di quello che mi attende domani o tra un’ora, il mio corpo di persona è qui adesso, soltanto questo conta, il mio respirare sopra questa branda, essere vivo ora, senza proiettarmi oltre il presente. Poi immagino arrivi qualcuno, sento i rumori delle porte spalancate a calci, subito mi strattonano, penso, mi fanno rotolare per terra e dicono cose gridate che neanche capisco. Non importa, non oppongo alcuna resistenza, lascio che facciano di me quello che vogliono, non ho più neanche coscienza di ciò che veramente sono, che cosa veramente io voglia, o dove vorrei essere.

Mi stringo ancora su questo letto morbido, mentre allontano il pensiero di cosa sarà di me tra un’ora o due. Sono da solo, tutto intorno a me vuole che io mi senta abbandonato, che pensi solo a me stesso, come non ci fosse nessun altro nelle mie stesse condizioni. Questo è il sistema, questa la maniera per fare di me e degli altri quello che vogliono, ma la mia sopravvivenza urla dentro di me, resta attaccata a questa mia persona: abbasserò la testa, lascerò che accada tutto quello che dovrà accadere, ma non dimenticherò mai quello che è stato, mi resterà dentro, geneticamente.

Bruno Magnolfi

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