Le persone in platea restano sedute in silenzio, guardano tutte nella
stessa direzione, nessuna di loro volge lo sguardo dietro di sé, al
massimo qualcuna osserva, ma solo per brevi istanti, la zona a fianco
dove siede il proprio vicino. Gli uomini tengono un atteggiamento fermo,
determinato, le donne al contrario mostrano una dolcezza di espressione
tale da giustificare un atteggiamento benevolo nei confronti di ciò a
cui stanno assistendo. L’impresario osserva tutto da una vetrata che
domina la sala, se ne intende di persone, sa perfettamente cosa
significa quell’atteggiamento quasi passivo, e si ritiene piuttosto
soddisfatto delle rappresentazioni messe in cartellone per la stagione
in corso.
La scenografia appare essenziale, due operai nel
pomeriggio sono riusciti a mettere in piedi tutto quanto senza indugi, e
le luci basse sulla scena adesso producono una certa profondità di
campo nella semioscurità che si forma sul fondale dietro al
palcoscenico. Il teatro è quasi pieno, la pubblicità a tappeto, su carta
neppure patinata, ha dato i suoi frutti, e anche il titolo ambiguo
della rappresentazione è riuscito a creare una certa aspettativa tra la
gente. Se le cose funzionano, saremo riusciti a creare un importante
precedente per tutto ciò che seguirà da ora in avanti, pensa
l’impresario.
Una persona poi si alza, dice qualcosa a voce alta,
un giudizio pesante sulla serata che si sta svolgendo, l’attore incerto
tentenna e poi si ferma, osserva qualcosa per un attimo nel buio della
sala, quindi prosegue riuscendo a non perdere il filo della sua
recitazione. Tutto è peggiorato, pensano in parecchi, forse è
l’inevitabilità dei tempi che porta questi doni, immaginano alcuni;
altri agitandosi sopra le poltroncine sembrano arrabbiati contro chi ha
osato interrompere la rappresentazione, e con i loro modi, senza
rendersene conto, riescono a complicare le cose in misura quasi maggiore
di ciò che fino allora è realmente accaduto. Un brusio si avverte
dappertutto, alcuni dicono a voce bassa che chi ha parlato prima
indubbiamente ha un briciolo di ragione: lo spettacolo si vede che è
tirato via, le cose scorrono ma solo per l’indulgenza manifestata dal
pubblico, che in qualche modo gioca un proprio ruolo. Poi, lo stesso
tizio che ha parlato inizialmente usando in realtà parole poco chiare ma
lasciandosi ugualmente comprendere benissimo, adesso si alza, e con
lentezza esce dalla sala: qualcuno pacatamente applaude, altri sembrano
sul punto di seguirlo.
Gli attori vanno avanti, sembrano consci
della situazione che si è creata, il loro imperterrito proseguire nella
recitazione pare la giustificazione al loro mestiere, alla necessità di
tutti di portare a compimento in un modo o nell’altro il proprio lavoro.
In effetti non si sa neppure con chi prendersela, i tempi sono questi,
sembra la spiegazione più evidente delle cose, chi non ci sta cerchi
pure di cambiarli, se riesce. Si leva un applauso quando un attore,
conscio di tutta la tensione, si rivolge al pubblico allargando le
braccia quasi in segno di resa, ma come se contemporaneamente non avesse
la voglia di fare lui ulteriori spese della situazione, mostrando così
che non è proprio colpa sua se le cose stanno in quella maniera.
Lo
spettacolo riprende, forse c’è uno spiraglio di indulgenza, ma la
situazione ormai non è più la stessa dell’inizio: si è rotto
l’incantesimo, gli uomini si sbracano sopra alle poltrone, le donne
hanno risolini ironici, gli attori continuano, ma solo per contratto,
non c’è più interesse nel mandare avanti al meglio la rappresentazione.
Quando finalmente lo spettacolo finisce, tutti escono, in pochi hanno
voglia di parlare, ma qualcuno riesce a trovare addirittura interessante
la serata, e alla maggior parte di loro lo spettacolo sembra proprio
sia piaciuto, nonostante tutto.
Bruno Magnolfi
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