domenica 19 dicembre 2010

Un futuro che valga.




Quasi in fondo al viale alberato, che iniziava dalla piazza rotonda con in mezzo una larga vasca con la fontana, c’era il liceo, e la corriera vi si era fermata con un leggero stridore dei freni, lasciando scendere dalla porta pneumatica sette o otto ragazzi coi loro pesanti zaini dei libri. Il mezzo pubblico arrivava come ogni giorno da alcuni piccoli paesi vicino, impiegava una buona mezz’ora per arrivare fin lì, e altrettanto per tornarsene indietro all’orario dell’uscita da scuola.

L’ultima campanella prima dell’inizio delle lezioni suonava esattamente alle otto e trenta, mancavano soltanto dieci minuti, Marco si era mosso svogliatamente una volta sceso sul marciapiede, aveva lasciato che la corriera alle sue spalle fosse sparita velocemente dietro la curva, poi si era soffermato a guardare i compagni che allungavano il passo per raggiungere in tempo l’edificio scolastico.

Che senso aveva andare con loro, pensava Marco, raggiungerli magari, arrivare trafelato nell’aula come ogni giorno, conservando soltanto quel lieve amaro sapore che toglieva qualsiasi curiosità, che non dava alcuna soddisfazione, aveva solo quel senso antipatico delle cose pianificate e previste? In un attimo i ragazzi erano già più distanti, lui camminava lentamente, li osservava, cercava con concentrazione di pensare qualcosa di positivo, ma senza alcun risultato.

Poi prese la prima piccola strada che portava da qualche parte diversa, un posto qualsiasi, con passo lento, le mani sprofondate dentro le tasche, riflettendo qualcosa, interpretando un pensiero all’improvviso estremamente importante, che mostrava un segno discriminante tra il prima ed il dopo. Non sapeva di preciso verso dove dirigersi, ma adesso si sentiva convinto che doveva camminare, muoversi, cercare qualcosa che non riusciva neppure a immaginare cosa fosse.

La città si snodava in maniera probabilmente normale tra le strade che si assomigliavano e il traffico della gente che si proiettava verso qualcosa: Marco era perplesso, osservava le auto, le case, le persone, come se tutto quanto girasse dentro a una giostra che riusciva a vedere solamente quel giorno, come se fosse la sua prima volta. Più in fretta di quanto avrebbe voluto arrivò a percorrere il corso, la strada pedonale dove stavano aprendo i negozi. Si soffermò davanti a qualche vetrina, raggiunse la piazza centrale, poi, all’improvviso, si sentì completamente perduto.

Entrò dentro a un bar, si sedette su una sedia di plastica, si fece dare un cornetto, un bicchiere con un’aranciata, infine osservò fuori dai vetri. Non c’era alcun ruolo nel suo essere lì, senza far niente; eppure qualcosa lo tormentava, era come una ricerca la sua, il tentativo di trovare un’identità personale. Uscì da lì per girovagare lungo le strade durante tutta la mattinata, e quando infine Marco tornò nella piazza della fontana per salire sulla corriera, guardò i suoi compagni usciti da scuola, li vide diversi, e improvvisamente seppe cosa stava cercando: ho compiuto un percorso, pensò, domani posso tornare al liceo.

Si sedette su uno dei sedili, sistemò il suo zaino dei libri, infine lascò che il paesaggio cullasse il suo sguardo, scorrendo come in un film fuori dai finestrini. Si devono affrontare i propri dubbi, pensò; si devono scoprire i motivi che muovono tutte le cose, solo quando si diventa consapevoli di quello che siamo e di ciò che stiamo facendo si può mostrarsi sereni, convinti di avere un futuro davanti, una prospettiva di cui sappiamo almeno qualcosa che ne valga la pena.

Bruno Magnolfi

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