domenica 21 novembre 2010

Laboratorio teatrale, lungo la strada.



La finestra è chiusa, come sempre, ma scostando appena la tendina riesco a scorgere la strada, con il marciapiede di fronte e i due negozi che si aprono lì, uno di generi alimentari e l’altro di ferramenta. Passano di fronte a me le persone di tutto il quartiere, qualcuno lo conosco, altri no; acquistano il pane o una scatola di chiodi, e ognuno sorride, si salutano incontrandosi, si augurano l’un l’altro una buona giornata.

Non c’è mai niente di nuovo, solo quelle solite cose, quei comportamenti ordinari, quegli identici gesti così precisi, così importanti, che mostrano di quanta umanità la gente di questo piccolo quartiere sia capace. Io li guardo, li riconosco, spesso, e quando parlano tra loro è come se parlassero anche insieme a me, mi spiegassero le loro cose, i piccoli problemi, le faccende di cui devono occuparsi, lasciando i saluti da portare a qualcuno rimasto a casa, qualcuno che non si vede da un bel po’, proprio come me.

Io non esco mai, resto qui, tra queste stanze, mi basta guardare le persone che si incrociano sopra al marciapiede, davanti a questa mia finestra. Sono d’accordo con il negoziante di fronte, e lui, quando arriva l’ora di chiusura e non ha più nessuno dentro al suo negozio, attraversa la strada e mi porta le cose che mi servono, quelle che gli ordino ogni volta. Non mi dice niente, mi saluta con riguardo, prende i suoi soldi, rispetta la mia solitudine, anche se io so perfettamente cosa pensa.

Pensa di me che sono solamente un povero vecchio curioso, senza speranza, ristretto a guardare la vita che scorre da dietro una tenda, senza più nessuna socialità, privo di qualsiasi interesse vero per il mondo fuori dalla mia casa. Ma non è così, lui si sbaglia, a me piace molto quel piccolo teatro che si snoda fuori, sulla strada, lungo quel loro marciapiede, ci passo tante ore a immaginare come declami, per esempio, la signora imbellettata che ogni giorno transita da lì solo per farsi vedere, o cosa dica sempre a voce alta l’insegnante in pensione, mio vicino di casa.

Li osservo, ne studio i gesti, le espressioni del viso, i sorrisi e gli ammiccamenti, mentre spiegano con convinzione le loro ragioni, ed io riesco perfino a comprendere quei loro argomenti, quei modi di dire, quei saluti più o meno convinti, fino a poterne quasi decifrare le parole. E’ la vita quella che ho di fronte, per qualcuno sciocca, semplice, superficiale, per altri più complessa, da spremere per cercarne la sostanza, per sfruttarne ai propri scopi e per ragioni più importanti di quanto vogliono mostrare.

Il negoziante viene da me ogni giorno, in silenzio, con la sua busta di provviste, io gli sorrido, lo ringrazio, gli corrispondo i soldi che mi chiede. Una volta invece dice qualcosa, come tra sé, mentre prende i suoi soldi: si sono litigati gli inquilini qua di fronte, dice, come se per me fosse importante, come se mi avesse preso per uno che spia la vita della gente, o si diverte alle spalle degli altri. Io lo osservo, dico che a me non interessa, gli spiego che quando guardo le persone che passano lungo il marciapiede è solo per immedesimarmi in loro, per essere con loro a dar vita a questa strada, a questo piccolo teatro, non per curiosità su ciò che fanno o per come conducono le loro esistenze.

Il negoziante non capisce, mi guarda con un sorriso ironico, poi mi saluta, se ne va. A me non è piaciuto quel suo atteggiamento, così il giorno seguente mi vesto di tutto punto, con una bellissima cravatta, prendo anche il cappello ed il bastone, esco sopra al marciapiede, affronto ciò che devo, attraverso la strada ed entro dentro al negozio dei generi alimentari. Non c’è nessun cliente in quel momento, lui è dietro al bancone, come sempre, mi guarda con sorpresa, io lo fisso, sollevo lentamente ma di poco il mio bastone, e dando un senso teatrale al mio viso e alla mia voce, dico soltanto: buongiorno, vorrei solo del pane; non mi serve altro.

Bruno Magnolfi

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