L’uomo era entrato nel bar, aveva scelto un tavolo libero e si era seduto. Al cameriere che si era accostato aveva ordinato un caffè, quindi aveva aperto svogliatamente il giornale con calma. Poco dopo al suo fianco era arrivato qualcuno che lui conosceva, gli aveva appoggiato una mano sopra la spalla e aveva sorriso; infine anche lui si era seduto a quel tavolino.
L’ordigno era scoppiato pochi secondi più tardi, al passaggio dell’auto lungo la strada principale, sicuramente azionato a distanza, e tutto davanti al locale si era trasformato in un caos completo. I due si erano precipitati là fuori, avevano visto l’auto squarciata e due uomini coperti di sangue che urlavano e si contorcevano sdraiati sopra l’asfalto.
Tutti i curiosi parevano tenersi a distanza, ognuno col telefono all’orecchio, salvo loro due che cercavano di portare un primo soccorso a quei poveri feriti. Le autoambulanze erano arrivate in un attimo assieme alle volanti della polizia, e nella confusione dei gesti e delle sirene quei due, che si erano abbondantemente sporcati di sangue, furono presi e infilati in un’auto medica, scortata verso l’ospedale dalle forze dell’ordine.
Nei giorni seguenti, una volta che tutto era stato chiarito, i due erano tornati a vedere la scena di quell’attentato politico, davanti a quel bar, proprio per cercare di comprendere che cosa fosse effettivamente accaduto, qualcosa che neppure i giornali avevano spiegato in maniera esauriente. Fu allora che una moto si era accostata, i due con i caschi avevano tirato fuori le rivoltelle per sparare verso di loro con una freddezza da professionisti, senza chiedere niente, lasciandoli a terra mortalmente feriti. In seguito si disse che i due erano senz’altro implicati in quell’attentato, per questo dovevano esser stati messi a tacere.
Bruno Magnolfi
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