Elisa adesso era rimasta da sola a quel tavolino,sotto agli ombrelloni bianchi del bar all’aperto. Non era stata capace di parlare sinceramente all’amica con la quale aveva passato quella mezz’ora, e anche se qualcosa superficialmente aveva accennato, adesso pensava di scriverle un biglietto nel quale con due parole avrebbe cercato di spiegare che lei se ne andava, ormai aveva deciso, via da quella città, da quelle strade che adesso sentiva quasi ostili, non sue. In fondo le pareva una scelta ormai fatta e archiviata, non le era facile neppure ritrovare le ragioni precise che l’avevano spinta fin lì, ma era in questa maniera che andavano le sue cose, ne era convinta, ormai nella sua testa era tutto ben stabilito.
Il suo lavoro di cameriera d’albergo lo poteva svolgere in qualsiasi altro posto, era da tanto tempo che lo pensava, da qualche parte avrebbe sicuramente trovato dove occuparsi, non c’era assolutamente bisogno di darsene ulteriore pensiero. Aveva due soldi da parte, sarebbero bastati per ripartire. Elisa si guardò attorno, spense la sigaretta nel posacenere di plastica, poi si alzò dal tavolino. La giornata era bella, la luce della tarda mattinata era forte. La sensazione che ultimamente aveva provato in qualche occasione parve ad un tratto riprendere vigore dentro di lei: sentiva la nausea per quelle strade, per quella gente, come se tutti fossero lui, quel vigliacco che le aveva inventato un sacco di storie e che adesso pareva si fosse stufato continuando addirittura a negarsi alle sue telefonate.
Ma in fondo non le importava, quella storia si era subito mostrata balorda, lei lo aveva capito, non riusciva neppure a spiegarsi come avesse potuto cascarci in quella maniera. Ci voleva niente però ad attraversare la strada, preparare con calma la sua valigia, sistemare quelle due o tre cose rimaste in sospeso e salire sul treno, destinazione qualsiasi, pronta per una nuova avventura. Le scappava da ridere, così si faceva, pensava, senza lasciare niente alle spalle, come seguendo un semplice percorso mentale. Una macchina in mezzo alla strada l’aveva sfiorata, strombazzando alla sua sbadataggine, poi Elisa quasi senza averne coscienza aveva raggiunto l’altro marciapiede, era arrivata davanti al portone del palazzo dove stava il suo monolocale e si era fermata un momento, indecisa. Si era guardata attorno sentendosi ormai all’orlo di qualcosa, aveva tirato fuori la chiave e le era venuto da piangere, ma aveva saputo controllarsi.
A tratti le pareva di essere forte, convinta delle cose da fare, e in altri momenti avrebbe avuto voglia di disperarsi, di lasciare a qualcun altro il compito di indicarle il percorso migliore da prendere. Restava lì davanti, ferma, con le chiavi dentro la mano, pensando alle sue cose fino quasi a farsi scoppiare la testa, indecisa di tutto, persino se muoversi subito o se invece aspettare. Si accostò una vettura che lei riconobbe: era lui, e ad Elisa già soltanto farsi trovare in quella situazione emotiva le dette fastidio. Lui scese, con calma, le andò vicino, la salutò senza guardarla, Elisa osservava i suoi gesti, i suoi modi che conosceva perfettamente, restando immobile lasciava che fosse lui a farsi avanti, a mostrare le sue buone ragioni, se ne aveva. Passò un attimo, poi lui disse qualcosa, una sciocchezza, una parola qualsiasi, e lei non aprì neppure la bocca, però si volse, infilò la chiave nella serratura ed entrò, senza darsene fretta. Poi richiuse il portone.
Bruno Magnolfi
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