Uno per volta.
C’era buio in tutto il corridoio, tanto quasi da infondere una leggera ma tenace sensazione di oppressione, come se soltanto aprendo la finestra in fondo a quello spazio piuttosto ristretto si fosse potuto respirare davvero. Il silenzio regnava. Una specie di scricchiolio però era parso giungere da dietro una porta che si apriva a metà di una parete, senza che ne fosse comprensibile la natura. Angelo era fermo, osservava la finestra con gli scuri accostati che separava il corridoio dallo spazio all’esterno, tanto che si intravedeva, lungo quegli spiragli attorno ai vetri, delle lame di luce che parevano pressare per entrare il più possibile dentro.
Una lieve risata remota si faceva strada da qualche parte, come se niente fosse importante, se non quella leggerezza stentorea, l’indifferenza per qualsiasi preoccupazione. L’aria era ferma, il caldo invischiante, denso, ai limiti del sopportabile. Angelo si mosse, arrivò fino alla porta, mise la mano sulla maniglia. Buonasera, disse qualcuno alle sue spalle. Una donna con un piccolo cane al guinzaglio lo stava osservando da dietro senza interesse, lui non ebbe neppure l’istinto di rispondere in maniera adeguata a quel saluto. Venga pure, disse la donna entrando avanti a lui dentro alla stanza. Angelo la seguì senza trovare altro da aggiungere.
Si sedettero entrambi, lei appoggiò la borsa sul tavolo e il piccolo cane si acciambellò in una cesta di vimini sul pavimento al suo fianco. Angelo disse qualcosa, senza convinzione, la donna sorrise, consultò qualche cosa che aveva di fronte nella lieve luce della lampada, poi prese una pausa. Accese una grossa candela rallentando i movimenti, infine alzò lo sguardo sulla sua faccia. Mi spieghi soltanto il suo pensiero principale, disse con voce pacata.
Angelo si accomodò sulla seggiola stringendo i braccioli di legno, osservò la luce della candela, infine disse: da un po’ di tempo sono diventato insicuro; cerco di fare le cose di sempre e mi viene ogni volta più naturale chiedermene il motivo, tanto da tendere a non combinare più niente. Resto in silenzio, da solo, certe volte, tormentato da mille preoccupazioni che prima non avevo. Non mi pare ci sia niente di diverso nella mia vita, se non questo abbattimento che non so neppure spiegarmi da dove derivi.
Il cane si era scosso conformemente alla fiammella della candela, la donna aveva abbassato lo sguardo lasciando una pausa, e infine aveva detto, come scolpendo la frase sopra una pietra: chiedersi il perché delle cose, è naturale; le risposte vanno cercate dentro di noi. Angelo aveva ascoltato con scarsa convinzione, poi aveva detto, muovendosi ancora un po’ sulla scomoda seggiola: non trovo alcuna risposta. La donna si era sollevata all’impiedi, si era spostata verso un lato di quella stanza, infine aveva spiegato: non posso aiutarla, il problema che pone è di tutti; posso ascoltarla se vuole parlare, e forse in questa maniera può riuscire a trovare i motivi della sua depressione. Altro per me è del tutto impossibile, il resto dipende da lei.
Angelo guardava perplesso le carte sopra il piano del tavolo, senza interesse, infine disse: va bene; e si alzò dalla sedia. La donna lo seguì con lo sguardo in silenzio, lui arrivò fino alla porta, infine, voltandosi, disse soltanto: se mi viene voglia di venirle a parlare, allora, prendo un appuntamento con la sua segretaria? No, venga direttamente, disse la donna, forse anche aspettare il suo turno nel corridoio può esserle utile.
Bruno Magnolfi
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