venerdì 23 novembre 2012

Incontro.

            
            Cesare era entrato dentro al portone del palazzo dove abitava, lo aveva richiuso alle sue spalle, poi era rimasto lì, indeciso su ciò che aveva veramente voglia di fare. Qualcuno, proprio in quel momento, era sceso di fretta lungo le scale di quel palazzo, aveva percorso quel tratto di ingresso rallentando l’andatura, guardato Cesare con un’espressione crucciata e anche con una certa insistenza, e poi lo aveva superato, aprendo l’uscio che dava sulla strada e sparendo in un attimo.
            Lui non aveva mai visto quella donna, o forse non si ricordava di lei, anche se gli era parsa sicura di sé in quei pochi gesti, quasi abitasse in un appartamento dei piani superiori, e conoscesse bene il suo vicino di casa, tanto da concedergli quell’occhiata esauriente, anche se nessuna parola era uscita dalla sua bocca; in quell’attimo in cui lei gli era passata vicino era come accaduto qualcosa di strano, Cesare adesso ne aveva coscienza, come se una parte di lui avesse cessato di essere nella stessa maniera di sempre, lasciando quasi lo spazio sufficiente per qualcosa di nuovo.
            Cesare ormai da tempo si era reso conto di essere stufo di raccontare a tutti la solita storia della sua vita, anche se ogni volta che lo faceva gli pareva che piccoli dettagli si modificassero nel suo raccontare, plasmandosi in funzione delle parole che ogni volta trovava più adatte alle sue descrizioni. Però, la maggior parte delle volte, quando si impegnava a spiegare le vicende che aveva vissuto, aveva sempre voglia che qualcuno gli chiedesse ancora qualcosa, magari anche con una certa insistenza, in modo da ritrovarsi costretto a scavare, ad attingere ad ogni particolare dentro se stesso, fino a trovare qualcosa che forse fino ad oggi gli era probabilmente quasi sfuggito.
            Lui aveva pensato spesso al passato, riflettuto con calma sui molteplici aspetti, e aveva sempre ripercorso le sue vicende come dando un’occhiata ad una serie di immagini, come fossero tante figure statiche della sua mente, file di oggetti quasi sospesi nel tempo; ma adesso, nel silenzio scuro dell’ingresso del suo condominio, all’improvviso gli sembrava che d’ora in avanti niente di tutto questo, assolutamente nulla di quanto credeva di aver costruito sulla base delle sue semplici esperienze, potesse essere più assolutamente possibile.
            Cesare ad un tratto sapeva di dover fare qualcosa come cercare di arrestare quella rapida perdita, quella grave mancanza che iniziava già a farsi sentire, così cercava di far forza sul suo coraggio, spingersi in avanti, affrontare la nuova realtà, e accostarsi al portone, aprirlo con energia, uscire velocemente sul marciapiede. Quella donna era ancora lì che lo stava aspettando, certo, non poteva essere in altra maniera. Lui la guardava, gli pareva che niente fosse sbagliato, ogni elemento era perfetto, tutto collimava come travasando ogni aspetto che aveva coltivato fino ad allora in quel semplice piccolo attimo.
            La donna si era voltata di nuovo verso di lui, non più per osservarlo, ma per farsi osservare, per lasciare che la mente di Cesare costruisse un percorso completo di identificazione, memorizzando e confrontando ogni dettaglio. Lui si era avvicinato, non molto, poi era rimasto fermo, stupefatto, all’improvviso incapace persino di parlare. Sarebbe stato meglio aver finto un’indifferenza completa, pensava; sarebbe stato meglio avesse corso su per le scale, continuava a pensare; sarebbe stato meglio qualsiasi altra cosa, ne era certo: ma lei adesso era lì, e questo era un fatto del tutto impossibile da disconoscere.

            Bruno Magnolfi

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