giovedì 22 novembre 2012

Involucri concentrici.

            
            Avendo comunque coscienza che stavo dormendo, ho fatto un sogno talmente realistico da avere paura che il mio risveglio ne neutralizzasse ogni esperienza acquisita. Infine, com’era del tutto inevitabile, la giornata ordinaria ha preso come sempre il sopravvento sul resto, e così mi sono fatto la barba, mi sono vestito, e come ogni mattina sono uscito da casa. Prima di andare ad infilarmi nell’ufficio dove lavoro da ben dodici anni, mi sono fermato in un caffè, ho preso un cornetto, un cappuccino, e mi sono seduto a sfogliare un giornale a disposizione dei clienti.
            Nelle pagine centrali si parlava di qualcosa che mi è parso estremamente interessante: si trattava di una persona che era riuscita ad annotare tutti i sogni fatti nell’arco di anni, tanto da costituire uno scaffale pieno di quaderni con le storie vissute soltanto con la mente nell’attimo stesso del suo riposo. L’articolo sosteneva che questa persona, rileggendo in seguito il materiale che giorno per giorno aveva accumulato, ad un tratto si era accorta che c’era un senso preciso che animava quei sogni, quasi un filo rosso che legava tutte quelle storie e quelle parole, tanto da spingerla a trarne un libro completo, voluminoso, quasi un ciclo di romanzi.
            Mi è parso subito un incoraggiamento alla vita quell’articolo, come se tutto fosse sempre possibile, anche nel momento di intimità massima come dormire. Ho tardato ancora prima di andare a rinchiudermi nel mio ufficio, ho pensato a lungo agli aspetti che poteva delineare un’esperienza del genere. Ho guardato la strada fuori dai vetri, ho seguito con lo sguardo qualche passante di fretta che inseguiva qualcosa; mi sono soffermato a mettere fuori fuoco le immagini che giungevano via via davanti ai miei occhi, e ad estraniarmi almeno in parte dal luogo pubblico dove restavo ancora seduto. Il cameriere mi ha toccato una spalla: sta bene?, mi ha chiesto, io gli ho sorriso e mi sono alzato dal tavolino.
            L’aria fredda della mattina sembrava adesso soltanto un ricordo lontano di qualcosa che all’inizio appariva forse piacevole, ma che dopo pochi minuti era già un’altra cosa: la consapevolezza della forza che si poteva avere dentro se stessi pareva spingermi lontano da tutto, come se non fossi più una vera parte dell’intero ingranaggio già in movimento. Ero vicino all’edificio dove mi recavo per il mio lavoro, ma nella realtà mi sentivo lontano da lì, proiettato dietro a pensieri che non avevo mai fatto, come se la mia mente in autonomia avesse preso il controllo completo delle scelte da fare.
            Con lentezza estenuante mi avvicinavo al palazzo di uffici, cosciente di essere già in forte ritardo: un’indifferenza completa continuava a determinare i miei movimenti; le persone attorno si muovevano con rapidità, le auto, i mezzi pubblici, tutto quanto era proiettato in un vortice che non faceva più parte di me, come mi fossi sganciato da tutto, e all’improvviso sentissi una forte lontananza da ciò che ero stato, e che di fatto avrei dovuto essere ancora.  
            Gli ultimi passi prima di arrivare al lavoro si facevano sempre più estenuanti, gettandomi in un torpore colmo di disagio, quasi la ricerca faticosa di resistere prima di tornare ad essere l’uomo di sempre. Forse, d’improvviso, avrei voluto addirittura recuperare del tempo, magari mettermi a correre, ma pareva impossibile, come se le mie gambe non fossero adatte ad una sfida del genere. Infine ho avvertito vicinissimo un suono elettronico che continuava a trillare, e così, di soprassalto, mi sono svegliato davvero.

            Bruno Magnolfi

Nessun commento:

Posta un commento