martedì 6 novembre 2012

Un attimo solo.

            
            Federico, dodici anni tra poco più di due mesi, corre a perdifiato dietro al pallone calciato in malo modo da un suo compagno di scuola, mentre insieme stanno giocando ai giardinetti del loro quartiere, durante un pomeriggio qualsiasi. Lo segue rotolare con gli occhi mentre inizia ad attraversare la strada, e nella fretta di raggiungerlo non si accorge affatto dell’auto che sopraggiunge. L’uomo alla guida canticchia una canzone trasmessa per radio: è tranquillo, quasi distratto, non si rende neppure conto del pallone che taglia la traiettoria della sua strada.
            E’ un attimo: improvvisamente ha la coscienza di qualcosa che rotola alla sinistra del suo parabrezza, lui stringe d’istinto le mani sopra al volante, volge gli occhi da quella parte, non si accorge per nulla di Federico che corre da destra per attraversargli la via, prosegue senza frenare, ma prova un brivido, una leggera ma potente sensazione di pericolo data dal semplice connubio che sta dentro la sua testa, come forse in quella di tutti: pallone – bambino.
            Non rallenta, trattiene forse il respiro, ma nel campo visivo appena alla sua destra intercetta qualcosa davanti alla macchina, vicinissimo, di sicuro qualcosa che sta dove non dovrebbe mai stare, ma ormai tutto sembra compiuto, è troppo tardi anche per avere un pensiero, il suo cervello è appena raggiunto da un piccolissimo impulso: tempo esaurito, dice quel lampo, nient’altro.
            Tutto si rallenta fino a fermarsi, l’uomo si vede proiettato fuori dall’auto, osserva se stesso e la macchina che sta guidando da tre o quattro punti di osservazione diversi, stringe ancora più forte le mani sopra al volante, vorrebbe forse chiudere gli occhi ma il respiro è azzerato, la radio pare trattenere soltanto una nota, o un accordo, prolungandolo in una specie di sospiro cavernoso, quasi disumano, come il rintocco metallico di una campana immersa in un liquido.
            La velocità della macchina è di poco superiore al limite per la guida in città, l’uomo si proietta in avanti nel tempo, immagina che avrebbe potuto procedere con più cautela, a velocità più moderata, con diversa attenzione, senz’altro maggiormente adeguata, avrebbe potuto evitare di farsi trovare distratto in un momento del genere, ma tutto adesso sembra ormai quasi concluso, il tempo esaurito non ammette una deroga, ciò che sta succedendo è già definito.
            Ritagliare quel piccolo frammento tra i tanti minuti, i secondi, le ore del giorno; eliminarlo del tutto dalla propria storia, da ciò che irrimediabilmente sarà appena tra un attimo. Fuori da lì, lontano, in una diversa dimensione, distante da tutto, la cancellazione completa di quel pezzetto di tempo, questi i lampi che scorrono in successione rapidissima nella sua mente, e infine le gomme dell’auto che stridono in una frenata tardiva, forse inutile, assolutamente ridicola, adesso.
            Tutto è immobile. L’uomo apre lo sportello ed esce dalla sua macchina: si sente già disperato, non può ancora neanche credere che tutto questo stia davvero accadendo, gira di corsa attorno al suo mezzo, in preda ad un dolore pazzesco, alla pazzia di un momento, ma Federico caduto a terra si rialza immediatamente, lo guarda, il suo viso è sbiancato, ma non si è fatto niente, soltanto un grande spavento. L’uomo lo guarda, lo abbraccia, non può evitare di piangere.
            Bruno Magnolfi

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