domenica 26 agosto 2012

Sotto al cappello.


In ogni momento, ogni volta che compio un’azione, anche la più sciocca del mondo, ecco che mi dico: niente sarà più come prima! Dico questo e subito ne ho quasi paura, come se ciò che di grande o di piccolo possa accadere, sono convinto abbia nelle sue mani il mio futuro, la vita, ogni possibilità. Poi succede qualcosa, un pensiero mi salta dentro la testa, mi alzo dal tavolo, indosso il cappello, esco da casa. Non ho una meta precisa, eppure so con precisione che devo muovermi, frequentare dei luoghi pubblici, incontrare le persone che affollano questa città.

Giro per le strade, lo sguardo basso, la camminata ben scandita: non vorrei accadesse niente, mi piacerebbe che tutto si conservasse così per un tempo indefinito. Percorro una via di negozi ben frequentata, se trovo il giusto esercizio devo acquistare qualcosa per me, per alcune ordinarie necessità. Invece, ecco, una persona mi ferma con un semplice saluto, mi fa dei complimenti accompagnati da grandi sorrisi, mi chiede come mi vadano tutte le cose. E’ un conoscente, un tizio di cui ricordo soltanto le cose essenziali, ma a sufficienza per permettere a lui di stringermi la mano, pormi qualche domanda, invitarmi a bere un bicchierino in un locale proprio di fronte.

Mi piacerebbe avere la personalità per declinare l’invito, dirgli con determinazione che ho qualcosa da fare, che non ho tempo per lui, invece lascio che questo tizio mi porti dentro a quel bar, mi spieghi con foga le sue vicissitudini, mi parli di tutto quello che vuole, tanto da mettermi in condizioni di dover dire anch’io quello che penso, ciò che rifletto ogni giorno, i miei dubbi, le perplessità. Sono a disagio, ne ho la coscienza, eppure non posso fare a meno di lasciarmi prendere dal gioco, come non ci fosse altro da fare, non esistesse neppure una diversa possibilità.

Infine usciamo, lui dice che dobbiamo rivederci, che è piacevole parlare con me, che sono una persona squisita, di quelle che oggi è sempre più difficile incontrare per strada. Mi sento la fronte imperlata di sudore, non so neppure che cosa aggiungere, i miei argomenti mi paiono così stupidi che penso da un momento all’altro possa accorgersi che sto solo fingendo una socialità che non ho dentro di me, non ho neanche mai avuto. Sorrido ai suoi argomenti, ma non vorrei farlo, mi guardo attorno e cerco soltanto di guadagnare di nuovo il mio equilibrio.

Mi saluta, se ne va, non prima di avermi assicurato che verrà a farmi visita nella mia casa, a vedere dove abito, direttamente fra due o tre giorni: potremo ancora chiacchierare dei bei tempi, dice, e mi stringe con calore la mano, mentre con l’altra mi assesta una pacca d’amicizia quasi all’altezza della mia spalla. Mi confondo immediatamente tra tutta la gente, mi fo piccolo, ad evitare che qualcun altro riconosca in me ciò che realmente sono, però mi stringo nella mia giacca e proseguo a camminare lungo la strada costellata da molti negozi. Mi accorgo poco dopo che ho dimenticato il cappello dentro al locale in cui mi sono recato insieme a quel tizio, e questa per me è una grande disdetta.

Non posso tornare in quel bar, non è proprio il caso di farlo, penso, lascerò che qualcun altro, con indifferenza, indossi prima o poi il mio cappello, e quando lo riconoscerò, camminando per strada, apprezzerò in quella persona che adesso lo calza, qualcuno che potrei essere io. Dovrò acquistare un nuovo cappello, penso, mi sentirò subito una persona diversa, sarà sufficiente indossarlo.

Bruno Magnolfi



Nessun commento:

Posta un commento